ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

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campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

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venerdì 16 febbraio 2018

Solidarietà ai tre licenziati FCA da parte degli "STATO SOCIALE" dal teatro Ariston di Sanremo

Da Pomigliano a Sanremo, la lotta operaia non si processa: Mimmo, Antonio e Marco liberi subito!
Dopo più di 6 ore i tre operai FCA del SI Cobas sono ancora sequestrati in stato di fermo al commissariato di Polizia di Sanremo, con l'accusa di aver violato l'articolo 650 del codice penale in quanto "rei" di aver turbato le disposizioni di sicurezza previste dal Festival.
Evidentemente l'iniziativa dei musicisti dello Stato Sociale, che si sono esibiti dal palco dell'Ariston utilizzando i nomi dei 5 reintegrati di Pomigliano erigendoli a simbolo dell'odierna condizione di schiavitù in cui versano milioni di operai e di sfruttati, deve avere urtato la suscettibilità dei piani alti del potere economico e istituzionale...
Da quanto abbiamo appreso, sembrerebbe che nei confronti dei 3 operai sia stato emesso un foglio di via per tre anni dalla città di Sanremo: la stretta repressiva del Piano-Minniti continua a colpire in maniera implacabile contro il movimento operaio e le lotte sociali.
Il SI Cobas nazionale, nell'esprimere il massimo sostegno all'iniziativa degli operai FCA e al gesto de Lo Stato Sociale, chiede l'immediata liberazione di Mimmo, Antonio e Marco, e nei prossimi giorni intensificherà le iniziative di lotta e di denuncia contro il Piano-Marchionne e le ristrutturazioni negli stabilimenti FCA di Pomigliano, Melfi, Cassino, Termoli e Mirafiori che a breve porteranno a nuovi, pesanti tagli di organico. In queste settimane, su iniziativa del SI Cobas, gruppi di operai stanno iniziando a confrontarsi e ad agire unitariamente a prescindere dalle sigle sindacali d'appartenenza per dare una risposta compatta alle manovre aziendali.
Per questi motivi rilanciamo la mobilitazione verso la manifestazione nazionale del 24 febbraio a Roma che ci vedrà in piazza contro sfruttamento, razzismo e repressione e per la costruzione di un fronte anticapitalista di opposizione dal basso alle politiche padronali e al teatrino elettorale del 4 marzo.
SI Cobas nazionale

Di seguito il comunicato della band Lo Stato Sociale apparso su facebook

Come si chiama quella figura retorica tale per cui una parte vale per il tutto?
La storia di Domenico, Marco, Antonio, Massimo e Roberto è l'esatta trasformazione in realtà di questo artificio linguistico. Cinque operai che subiscono da anni una vessazione non accettata nemmeno dai tribunali a cui si sono rivolti, vincendo la causa contro il Golia chiamato FCA e che vengono tenuti lontani dalla fabbrica perché sgraditi.
Attraverso questo artificio abbiamo pensato di poter portare sul palco dell'Ariston le istanze di milioni di lavoratori, precari, disoccupati. Perché come ci ha detto Domenico: "le lotte funzionano solo dal basso verso l'alto e noi vorremmo che tutte le persone salissero sulla torre dei potenti per essere tutti uguali". Ci siamo conosciuti e raccontati davanti ad un caffé, lontani dalle telecamere e dai microfoni. Ci siamo presi del tempo per guardarci in faccia perché prima di ieri esistevamo reciprocamente solo nei racconti degli altri, nei filmati, negli articoli di giornale.
E quindi le canzoni possono far succedere delle cose? A quanto pare si e non si tratta del secondo posto al Festival, si tratta della possibilità di coprire le distanze e di prendersi sotto braccio, come faresti con un amico verso il bar o in una piazza piena come quella di ieri a Macerata. Nicola fa spesso questa domanda: "i luoghi sono di chi li possiede o di chi li abita?", a noi piace pensare che i luoghi siano di chi li abita, le città siano di chi le vive, i posti di lavoro di chi vuole condurre una vita gratificante anche in quella sede. Per troppo poco tempo abbiamo abitato quel palco e per troppo poco tempo abbiamo vissuto Sanremo assieme a Domenico, Marco, Antonio, Massimo e Roberto che sono venuti a trovarci per fare due chiacchiere e farci fare due risate rivelandoci il segreto della loro lotta: continuare a divertirsi malgrado tutto.
Ci siamo detti cose belle e importanti che terremo per noi: perché è giusto, perché per ognuno di noi hanno assunto sfumature differenti e queste righe non sono la sede per parlarne.
Sono arrivati con uno striscione e delle magliette stampate per l'occasione con la scritta: "Sanremo chiama, Pomigliano risponde". Sembra il titolo di un poliziesco anni '70 e invece è il riassunto di come dieci persone apparentemente distantissime possano trovare un percorso comune.
Come dice l'antico motto: together we stand, divided we fall.
P.S. apprendiamo solo ora che qualche minuto fa, cercando di portare la loro storia sul truck di Radio2, sono stati fermati e scortati in caserma. Non siamo esperti giuristi ma ci sentiamo di esprimere loro la nostra solidarietà, conoscendo la bontà delle loro intenzioni.

Lo Stato Sociale

lunedì 12 febbraio 2018

Il foglio telematico di Alternativa Libertaria


In questo numero parliamo di antifascismo e di Kurdistan               

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Amazon 18 o le catene del presente

I braccialetti brevettati da Amazon sono semplicemente l’evoluzione della specie.
La tecnologia del capitale, all’opera, che riduce a codice a barre, riconoscimento di qualsiasi merce e prodotto, pure il/i lavoratori e non può essere altrimenti,  risulta un dato fondamentale della prestazione lavorativa.
Non siamo in presenza di una stranezza consentita da cambi di leggi ma dal funzionamento stesso del capitale in un passaggio storico più e più volte sottolineato,  che viene segnato da cambiamenti/trasformazioni strutturali. I primi a farne le spese come sempre sono le/i lavoratori.
Il tutto,  come è sempre successo,  si riversa sull’intera società. E se i lavoratori in senso ampio non trovano le vie di uscita,  nella lotta di classe, il dominio del capitale, e l’egemonia culturale che esso esprime,  aumenta.
Questa premessa è  doverosa,  dato i riscontri dei vari giornalai ed esperti tuttologhi che si succedono,  con uscite al di fuori della decenza.
Amazon applica da sempre il controllo in remote sui lavoratori impiegati nei suoi magazzini,  sia che siano lavoratori somministrati da agenzie (precari), sia che siano lavoratori   assunti a tempo indeterminato,  con un protocollo che viene  applicato in tutte le realtà e in qualsiasi paese.
Pure la scoperta delle multinazionali e del loro modo di funzionare risulta indecente dato che da oltre 70 anni sono al centro, o meglio dovrebbero esserlo, di qualsiasi analisi sul/del capitale.
Il passaggio al capitalismo digitale, grazie alle potenzialità delle tecnologie attuali e in divenire,  permette per quello che riguarda il territorio del lavoro il controllo a distanza del lavoratore sui due punti esplicitati dal dominio: il controllo della produttività e il controllo disciplinare.
Bracciali, cellulari, badge, smartphone aziendali, tablet, tom tom traccianti ecc. producono la tracciatura sistemica anche dei comportamenti dei singoli lavoratori, che viene immagazzinata e registrata (nei server aziendali o nei cloud) . Così  i lavoratori possono essere prontamente o successivamente ripresi (sanzionati). 
Mai come ora la capacità di dominio invasiva e pervasiva sulla sfera personale del lavoratore viene messa e assogettata a trasparenza eliminando tutti gli spazi di “attività” autonoma.
Non entriamo nel merito e nell’analisi in questa sede, degli elementi che risultano neccessari per completare questo percorso, delle varie forme organizzative aziendali diverse ma non in contrapposizione fra loro ma solo funzionali al tipo di mission della stessa; cosi evitiamo per il medesimo motivo la descrizione delle varie forme e tecnologie applicate per lo scopo.
Amazon come gran parte delle aziende nel settore della distribuzione diventa un terreno di istituzione totale,  alla quale i lavoratori si devono assogettare. Molto simile ai sistemi, nel funzionamento, di reclusione ed esclusione dei panottici. Sottolineiamo che tale SISTEMA si espande velocemente a qualsiasi tipo di attivita e in qualsiasi perimetro di lavoro.
Segnaliamo due punti con enormi implicazioni.  Il primo l’isolamento del singolo lavoratore e la difficoltà di coalizione della classe; il secondo quello che viene correttamente definito tecno-stress e le ricadute sulla salute e la sicurezza degli stessi lavoratori .
LA VERTENZA AMAZON
E’ in corso una dura vertenza dura per la posizione dell’azienda e per la difficolta di organizzazione dei lavoratori. Un dato molto importante è quello che in AMAZON i sindacati del commercio, la FILCAMS-CGIL in particolare, sono riusciti ad organizzare scioperi su una piattaforma, approvata dai lavoratori, avviando per la prima volta dopo 10 anni un percorso contrattuale. Gli scioperi di dicembre sottolineano una fondamentale e non eludibile neccessità : quella di costruire una vertenza EUROPEA che coinvolga tutti i magazzini di Amazon. Gli scioperi del periodo natalizio,  massimo livello di vendite del settore dell’e-commerce, ha coinvolto magazzini in Germania, Francia e Italia. I rapporti tra i sindacati di settore di questi 3 paesi europei risultano importanti per iniziare ad affrontare una azione sindacale sovranazionale sul piano contrattuale/vertenziale tenendo presente le difficoltà che derivano da diversi fattori non da ultimo la presenza di ben 6 forme e modi di organizzazione sindacale in Europa.

Marche: Violenza fascista



Macerata è una città della profonda provincia italiana, come tutte le altre città d’Italia, e come anche le periferie di Milano, Roma, Torino, Napoli, etc. La profonda provincia dove facilmente cresce ed esplode l’odio; dove si può chiamare scimmia una donna (a Fermo) ed ammazzare il marito che la difende. Una provincia rabbiosa e viscerale, come quella di Firenze dove sette anni fa vennero uccisi due senegalesi, o Busto Arsizio, dove tornano i roghi in piazza delle donne che la pensano diversamente, anche se, fortunatamente, solo in effige. E tanti altri, troppi, episodi squadristi di questi ultimi anni di cui c’è da perdersi, nell’elencare la violenza conseguente alla campagna d’odio della Lega, Casa Pound e Forza Nova, tollerata da molti altri, negata dai media e, funzionale a far dimenticare i veri problemi di questo paese, affogandoli in una guerra fra poveri.
In questi giorni sta uscendo nelle sale il film “Sono tornato”, scopiazzatura della versione tedesca “Lui è tornato”, con un taglio comico discutibile ed una lettura molto superficiale di cosa sia stato e di cosa è il fascismo, dimenticando che, al di là di ogni valutazione, commento, riscrittura e revisionismo (o negazionismo) il fascismo è in primo luogo violenza. Violenza fisica, sopraffazione, uccisioni, desaparecidos, stragi, guerre, e negazione delle libertà, razzismo, discriminazione. Il fascismo è far morire affogati i profughi in mare o congelati alla frontiera.
Il fascismo non è un momento passeggero della politica che può farsi più o meno autoritaria, una dittatura dolce, un … “prima gli italiani”. Non c’è stata idea politica in questo paese che non abbia concorso alla morte di così tanti italiani come il fascismo.
Di fronte a questo c’è chi pensa che un articolo della costituzione, una disposizione di legge, una mozione parlamentare, un ordine del giorno o un impegno istituzionale possano arginare la violenza montante. In realtà il fascismo si combatte rifuggendo la violenza, riconoscendo le diversità, non accettando nessun tipo di provocazione e garantendo altresì salute, scuola e lavoro a tutti. Il fascismo si combatte allargando i diritti e le libertà, civili, sindacali e sociali, non riducendole. Ma soprattutto il fascismo si combatte assumendo il coraggio di guardare in faccia la violenza politica, la sua banalità del male, la natura intrinsecamente anti-umana di ogni pensiero fascista.
La profonda provincia italiana ha di nuovo prodotto violenza. Qualcuno dirà “è un pazzo isolato”, molti purtroppo già stanno applaudendo lo sparatore del 3 febbraio a Macerata, incensandolo con un “Onore al camerata”. La maggioranza delle persone farà finta di nulla. Fino alla prossima violenza, fino a quando, forse, ci scapperà un linciaggio. O fino a quando si scoprirà che è troppo tardi per dire e fare qualcosa contro il fascismo.

 



 



 






domenica 11 febbraio 2018

GLAS MÜLLER SFRUTTA I LAVORATORI
E LICENZIA CHI SCIOPERA
Sembrano storie del secolo passato, narrate da Emile Zola nei suoi romanzi, quando scioperare poteva essere pericoloso ed esporre a gravi conseguenze per la vita di chi decideva di non abbassare la testa.
La realtà ci racconta che ancora oggi, in tutto il mondo, scegliere di lottare e pretendere condizioni di vita migliori o il rispetto dei propri diritti minimi e inalienabili, può portare a gravi contromisure da parte delle aziende presenti anche nei paesi a capitalismo avanzato come l'Italia. Se in Sudafrica, in Asia o America Latina scioperare può ancora comportare il rischio di rimanere uccisi dalla repressione, le forme repressive adottate nelle cosidette democrazie sono più sottili, “regolamentate” da una legislazione che permette ai padroni di fare il buono e cattivo tempo della vita dei lavoratori. Legislazione che negli ultimi anni, anche attraverso l'abolizione dell'articolo 18 ed alla precarizzazione del lavoro, ha contribuito a facilitare i licenziamenti.
Negli ultimi mesi è emerso che alla Glas Müller, una storica azienda presente nella ricca città di Bolzano, dopo il licenziamento di un operaio ed al successivo sciopero solidale che ne chiedeva il reintegro, altri due operai, poco prima di Natale 2017 sono stati licenziati. Ufficialmente per “motivi disciplinari” e “inadempienze”, in realtà perchè non hanno abbassato la testa di fronte ai diktat aziendali ed alle continue richieste di straordinari e flessibilità a senso unico. Si tratta di licenziamenti che rispecchiano quale sia l'aria che si respira in azienda, sempre più pesante in seguito al tentativo di mettere in discussione le decisioni di Christine Müller. La risposta della padrona prima del licenziamento si espresse inizialmente attraverso la sospensione dal lavoro e con il tentativo di isolare gli scioperanti all'interno della fabbrica, cercando di allontanare il resto degli operai da chi aveva alzato la testa, attraverso allusioni e velate intimidazioni.
Quello che emerge da questa vicenda è la profonda solitudine in cui settori sempre più ampi di lavoratori si trovano, lì dove il sindacato ormai non conosce più la parola lotta ma è ridotto ad uno sterile apparato burocratico: gli operai prima di organizzare lo sciopero si erano infatti rivolti alla Cgil, che poi nulla fece per difendere i lavoratori in lotta anzi, prese le distanze dallo sciopero contribuendo a facilitare il loro successivo licenziamento.
Libertà di pensiero, diritto di sciopero non sono un regalo concesso da qualche sovrano illuminato ma sono il risultato di una secolare lotta degli oppressi per liberarsi dalle catene di chi comanda. Questa storia dimostra che ancora oggi tutto questo, che molti danno per acquisito, deve essere riconquistato e difeso giorno dopo giorno. Soltanto la solidarietà fra i lavoratori e disoccupati ci può difendere da tali soprusi, che nella maggior parte dei casi vengono vissuti nel silenzio e nella solitudine.
Non solo sono stati licenziati degli operai per un fine evidentemente politico, ma le condizioni che sono state imposte agli operai della Glas Müller sono oltre ogni soglia tollerabile: oltre all'utilizzo spropositato di tirocinanti per risparmiare sulla manodopera, i lavoratori lavorano sotto telecamere che riprendono a 360° e sono costretti a firmare un foglio ogni volta che vanno in gabinetto.
Il minimo che possiamo fare è stare al fianco di chi ha deciso di uscire dal silenzio e lottare. Oggi il licenziamento ha toccato loro, ma domani può toccare a chiunque. Solo la lotta può garantirci che tali ingiustizie non si ripetano.
Oggi quando entri in Fiera pensa a quale realtà si cela dietro a un' “eccellenza” altoatesina. Fra una casa ecologicamente sostenibile e l'altra, ci sono ancora lavoratori che, dopo oltre 10 anni di lavoro, vengono cacciati solo per aver difeso i propri compagni di lavoro ingiustamente licenziati, mettendo così in discussione il dispotismo nel feudo di Christine Müller.
SOLIDARIETA' AGLI OPERAI LICENZIATI!
SE TOCCANO UNO TOCCANO TUTTI

mercoledì 7 febbraio 2018

5000 a Genova

















Oltre 5ooo persone hanno partecipato, sabato scorso, alla manifestazione convocata dall'assemblea antifascista cittadina in seguito al recente accoltellamento di un compagno da parte di soggetti di Casa Pound. 
 
La mancata adesione di Pd, Anpi e Cgil (molti iscritti e militanti erano comunque presenti) non ha quindi influito sulla partecipazione, che resta il dato più rimarchevole della giornata. Il corteo, partito da piazza De Ferrari, ha toccato le vie dove, negli ultimi tempi, i neofascisti genovesi hanno aperto le loro sedi, ma solo nei pressi della simbolica piazza Alimonda si sono verificati alcuni incidenti non rilevanti (lancio di oggetti) per la vicinanza con la sede di Casa Pound, ultrablindata. 
 
Una esigua parte di manifestanti ha poi danneggiato vetrine di banche e di esercizi commerciali, mentre il grosso del corteo proseguiva verso la destinazione finale. Un fatto molto spiacevole si è verificato all'altezza di piazza della Vittoria dove un ragazzo, presentatosi in corteo indossando una giacca mimetica ed una bandiera italiana, scambiato per un provocatore, è stato aggredito da alcune persone ed è stato trasportato in pronto soccorso, solo dopo si è saputo essere un disabile psichico. 
Il servizio d'ordine allestito e organizzato dall’assemblea ha cercato comunque di gestire la situazione riuscendo ad isolare in coda quelle individualità ritenute più ‘estreme’. 
 
Rimane comunque la forte risposta di una collettività che, anche in assenza di istituzioni formali, autorganizzata ha risposto positivamente, in maniera compatta e sostanzialmente pacifica. 
 
I fatti di Macerata ci danno ragione sulla necessità di un grande spiegamento di forze antifasciste a contrastare una fase storica pericolosa che ha fatto riemergere sentimenti alquanto discutibili tesi ad esaltare l’italianità ad ogni costo e contro chiunque cerchi di abbattere muri anziché erigerli. 
 
Nella giornata del 5 febbraio, sono apparsi degli individui su una scalinata nota di Roma, con uno striscione esaltante la figura di Luca Traini, colui che travestitosi da giustiziere ha seminato il panico nelle vie di Macerata sparando all’impazzata in direzione di persone di colore, sicuramente senza distinguerne nemmeno la nazionalità ma volendo colpire il colore della pelle che per lui, nella sua ignoranza che è purtroppo di tanti, rappresenta la criminalità. 
 
Molta gente sembra ignorare la realtà, ovvero che la criminalità non ha affatto colore e nazionalità ma si sviluppa laddove manca l’informazione e cresce una rabbia fomentata da dei media totalmente asserviti ad un certo potere. 
 
Riteniamo evidente, a monte, un disegno pericoloso che se non cancellato immediatamente porterà a conseguenze ancora più gravi. 
 
Gravissima è già, da parte di molti, il sentirsi legittimati nel mettere in campo azioni xenofobe che incitano all’odio e alla violenza. 
E’ fondamentale più che mai muovere quelle genti, spesso silenziose rispetto al frastuono creato da tal popolino, che fino ad oggi erano sicuri di uno stato di cose che MAI avrebbe risvegliato certe ideologie. 
 
Sabato 10 febbraio si terranno in tutta italia vari presidi e manifestazioni contro il vile gesto di Luca Traini e contro l’emergere di una certa ideologia, Genova che ha già risposto mettendo in campo una grandiosa onda umana il 3 febbraio scorso, ha dimostrato la presenza e la volontà necessarie a sopprimere da subito quelle voci che vorrebbero alzarsi sulle altre, Genova grida no pasaran!

lunedì 5 febbraio 2018

PIETRO GORI TORNERA' IN ESILIO...107 ANNI DOPO LA MORTE? UN APPELLO

UN APPELLO IN DIFESA DI PIAZZA PIETRO GORI A PORTOFERRAIO (ISOLA D'ELBA)
I giornali del 30 gennaio riportano la notizia che la Giunta comunale di Portoferraio ha deciso di dedicare all’ex sindaco Giovanni Ageno la Piazza antistante il municipio che, dal 1946, ospita la lapide dell’artista Arturo Dazzi dedicata a Pietro Gori. La lapide dell’artista è, come si sa, un omaggio che i cittadini di Portoferraio vollero offrire nel 1913 alla memoria del “poeta dell’anarchia” e dell’avvocato dei “diseredati”. Negli anni a noi più recenti poi quella piazza ha preso giustamente il suo nome.
All’inizio abbiamo pensato ad una fake news, una delle tante che circolano in queste settimane di campagna elettorale, ma poi amici e conoscenti ci hanno confermato che la notizia è vera come sono vere le dichiarazioni dell’attuale sindaco Ferrari e degli altri esponenti della Giunta relative alla motivazione di tale iniziativa, che vuole essere una sorta di “riparazione morale” a posteriori dell’ex sindaco che in vita ha subito una “grave ingiustizia”. Dice il sindaco: «a Gori è dedicata la piazza davanti al municipio, ma anche una strada che passa dietro al palazzo della Biscotteria. Mi risulta inoltre che la toponomastica storica della città indichi la strada come prima attribuzione a Gori. La piazzetta, in realtà, era dedicata a monsieur Hutre, notabile di Portoferraio all’epoca di Napoleone. Solo in un secondo momento la piazzetta fu intitolata a Gori».
Ora non vogliamo entrare nel merito dell’operato dell’ex sindaco Giovanni Ageno, sono passati troppi pochi anni dalla sua morte per poter dare un “giudizio” e una “valutazione” seria e storica del suo operato e non vogliamo certamente entrare nel merito delle polemiche politiche che ingolfano di questi tempi i media, ma vogliamo sottolineare alcuni aspetti di ambito storico che questa scelta determinano nel contribuire a modificare nella sostanza l’identità e la storia di questo territorio.
Facciamo un tuffo nel passato per ricordare la storia di questo luogo: tutti sono a conoscenza dell’importanza del ruolo di Pietro Gori (1865-1911) nell’Isola d’Elba e nella costa tirrenica della Toscana (per limitarci a questi territori) nella difesa degli interessi delle classi subalterne e nella propaganda di ideali di libertà ed eguaglianza. L’affetto con cui la memoria di Gori è stata conservata all’Isola d’Elba è dimostrato dai tanti luoghi che ancora conservano testimonianze, come le numerose lapidi, dedicate al vate dell’ideale: Portoferraio, Capoliveri, S. Ilario etc. Tutti sanno anche come con l’ascesa al potere del fascismo molti dei tributi marmorei dedicati a Gori furono rimossi e distrutti, alcuni nascosti e ricollocati appena la dittatura venne sconfitta. Tra le prime grandi manifestazioni che attraversano la distrutta Portoferraio del 1946 vi fu quella per la ricollocazione della lapide dell’artista Dazzi rimossa dalle autorità fascista dalla sua iniziale collocazione nella piazza che oggi porta il nome di Cavour nelle adiacenze del porto. Quella manifestazione nel nome di Gori simbolicamente fu anche la prima grande espressione popolare della riconquistata libertà. La partecipazione di massa dei lavoratori e dei cittadini a quell’evento è testimoniato dalle numerose fotografie che ancora si conservano, e giustamente negli anni quella Piazzetta a ridosso del municipio è diventata nel cuore e nei fatti la Piazza Pietro Gori, una sorta di riconquista morale della memoria ferita dell’intera comunità. Ora voler rimuovere quel nome con il semplice fatto che esiste anche una strada intitolata a Gori e sostituirne il nome significa tradire non solo coloro che nei decenni passati ne hanno conservato con amore la memoria ma anche cercare di cancellare di fatto la storia di questa comunità e di Pietro Gori.

Per questa ragione noi protestiamo e faremo di tutto per denunciare questa operazione che definire mistificatoria e strumentale vuol dire fargli un complimento.
Franco Bertolucci direttore della Biblioteca F. Serantini
Furio Lippi presidente dell’Associazione amici della Biblioteca F. Serantini - ONLUS
Maurizio Antonioli, storico
Michele Battini, storico
Gian Mario Cazzaniga, storico e filosofo
Paolo Finzi, redazione «A rivista anarchica»
Stefano Gallo,storico
Martina Guerrini, scrittrice
Pasquale Iuso, storico
Adriano Prosperi, storico
Martino Seniga, giornalista e scrittore

Pisa/Portoferraio, 30 gennaio 2018


giovedì 1 febbraio 2018

Non lasciamo solo il popolo di Afrin













Afrîn appartiene al popolo di Afrîn. La gente che vive nel cantone di Afrîn è nata  in questa terra e vuole morire su di essa. Vivere lì non ha nulla a che fare con nessun piano o programma. Gli abitanti di Afrîn non  vivono nel cantone di Afrîn per motivi strategici. Afrîn, per loro, è l'acqua, il pane, il cibo, il gioco, la storia, l'amicizia, la solidarietà, l'amore, la strada, la casa, il vicinato. Ma per lo Stato non è che un pezzo di una strategia. Una strategia che non si preoccupa certo della terra di Afrîn o della sua gente. 

L’aggressione militare contro il cantone di Afrîn è inserito nella strategia della guerra dell'Energia,   che risulta dallo smantellamento della Siria e che  porterà allo smantellamento di altri  Stati della regione. Gli Stati creano l'illusione di fare queste guerre per "i loro cittadini".  Costruiscono una propaganda nazionalista  conservatrice per convincere i loro abitanti di false credenze.  Per gli Stati questo è un bisogno ineludibile sia sul fronte interno che su quello esterno. Sono menzogne necessarie per il fronte elettorale all'interno, e utili per i tavoli dii negoziato sul fronte estero.  I dirigenti che prendono parte ai processi commerciali, in particolare l'estrazione, il trasporto e la commercializzazione delle risorse energetiche  utilizzano ogni possibile risorsa per accrescere i loro profitti.
In queste discussioni, in cui il numero di fucili, di tanks e di aerei da guerra  è importante, il numero dei soldati ha un suo posto fondamentale. Un soldato non è differente da una merce. Ecco dunque che serve l'illusione nazionalista conservatrice. 
Chi si unirebbe a una guerra in cui solo qualcun altro ci guadagna? Chi combattebbe per il petrolio, che è sempre venduto dagli Stati o dalle Compagnie petrolifere, ma  di cui una goccia costa più del pane? Noi, quelli che vivono sulla propria pelle la montata crescente dei prezzi causata dall'aumento del prezzo del petrolio, noi che perdiamo comunque, perchè dovremmo combattere per chi ci guadagna comunque? E infatti, nessuno di noi  combatterebbe per loro. Per questo hanno bisogno del nazionalismo e del conservatorismo.  
E oggi, loro urlano dai giornali e dai canali televisivi lo slogal nell'illusione: "La Nazione, la Nazione, la Nazione". Volontà nazionale, unità nazionale. Non potranno mai dire chiaramente " Vi stiamo derubando" , oppure "Combattete,  così vi venderemo del petrolio , e chissà cos' altro. Noi continueremo a farvi produrre, a farvi consumare, a sfruttarvi". Ecco il piano, il programma, la strategia, la guerra degli Stati. Noi, quelli che stanno in basso, forzatamente  cittadini e cittadine degli Stati, possiamo però cambiare tutto. Oggi, gli abitanti di Afrîn vivono liberamente perchè sono riusciti a cambiare tutto. Così come nel cantone di Kobanê,  nel cantone di Cizere o nel Chiapas Zapatista. Ed è lì la differenza cruciale tra la guerra popolare  e la guerra degli Stati. Nelle loro guerre, gli Stati attaccano e brutalizzano senza rispettare nessuna regola, per accrescere i profitti. Bombardano con tutti i loro tank e i loro aerei. Feriscono, uccidono, assassinano e sarebbero contenti di fare prigioniera ogni forma di vita. Mentre nella guerra popolare c'è la libertà. 
Nel corso degli ultimi giorni, ognuna delle bombe lanciate su Afrîn, ogni proiettile, è stato un attacco alla libertà. Lo stato Turco, a cui piacerebbe aumentare la propria fetta di torta, ha lanciato la sua offensiva sul cantone di Afrîn. E' una strategia fondata sul nazionalismo, sul conservatorismo e basata su menzogne. E' una strategia elettorale. E' una strategia completamente commerciale. La guerra di Stato è una strategia. Ma la guerra popolare è la libertà. E nessuno Stato può sconfiggere chi lotta per la libertà. 
Afrîn vincerà. 

Action Anarchiste Révolutionnaire (DAF) – Turchia

Tecnologie del dominio. Lessico minimo di autodifesa digitale

Sabato 03 Febbraio 2018 ore 17,30
                  All’Ateneo degli Imperfetti

dal libro di Ippolita
Tecnologie del dominio.
Lessico minimo di autodifesa digitale
Meltemi edizione, Milano 2017

incontro con alcuni componenti del gruppo Ippolita gruppo di ricerca e formazione interdisciplinare

Le parole delle tecnologie del dominio sono molte, e riguardano tutti gli abitanti del pianeta Terra, anche non umani, anche le macchine. Alcune sono antiche, altre sono di nuovo conio; spesso sono termini inglesi: Algoritmo, Big Data, Blockchain, Digital labour, Gamificazione, Internet of Things, Pornografia emotiva, Privacy, Profiling, Trasparenza radicale e altre ancora.














 Le parole delle tecnologie del dominio sono
molte, e riguardano tutti gli abitanti del
pianeta Terra, anche non umani, anche le
macchine. Alcune sono antiche, altre sono
di nuovo conio; spesso sono termini
inglesi: Algoritmo, Big Data, Blockchain,
Digital labour, Gamificazione, Internet
of Things, Pornografia emotiva, Privacy,
Profiling, Trasparenza radicale e altre
ancora. Sono collegate fra loro da una
fitta trama di rimandi e sottintesi, una
rete di significati colma di ambivalenze e
incomprensioni. Insieme compongono il
variegato mosaico della società presente
e di quella a venire. In questo quadro
emerge come ideologia prevalente l’anarcocapitalismo,
una dottrina vaga eppure
molto concreta nei suoi effetti devastanti sui
legami sociali, la costruzione delle identità
individuali e collettive, la politica. Sembrano
parole d’ordine solide come acciaio
temprato, senza crepe, senza debolezze. Ma
a osservarle con le lenti dell’ironia, con gli
occhiali dello humor e della consapevolezza
storica, con il desiderio hacker di smontarle
e capire come funzionano, si sciolgono
come neve al sole.
  

IX Congresso Nazionale della FdCA

IX Congresso Nazionale della FdCA
1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)