ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

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O SCEGLI NOI O SCEGLI LORO

campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

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lunedì 31 agosto 2015

Lettera di un figlio ad un operaio

Per anni l’ho visto alzarsi alle quattro del mattino, salire sulla sua bicicletta e scomparire nella nebbia di Torino, in direzione della Fabbrica. L’ho visto addormentarsi sul divano, distrutto da ore di lavoro e alienato dalla produzione di migliaia di pezzi, tutti uguali, imposti dal cottimo. L’ho visto felice passare il proprio tempo libero con i figli e la moglie. L’ho visto soffrire, quando mi ha detto che il suo stipendio non gli permetteva di farmi frequentare l’università. L’ho visto umiliato, quando gli hanno offerto un aumento di 100 lire per ogni ora di lavoro. L’ho visto distrutto, quando a 53 anni, un manager della Fabbrica gli ha detto che era troppo vecchio per le loro esigenze. Ho visto manager e industriali chiedere di alzare sempre più l’età lavorativa, ho visto economisti incitare alla globalizzazione del denaro, ma dimenticare la globalizzazione dei diritti, ho visto direttori di giornali affermare che gli operai non esistevano più, ho visto politici chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese, ho visto sindacalisti dire che la modernità richiede di tornare indietro. Ma mi è mancata l’aria, quando quel lunedì del 26 luglio 2010, su “ La Stampa” di Torino, ho letto l’editoriale del Prof . Mario Deaglio. Nell’esposizione del professore, i “diritti dei lavoratori” diventano “componenti non monetarie della retribuzione”, la “difesa del posto di lavoro” doveva essere sostituita da una volatile “garanzia della continuità delle occasioni da lavoro”, ma soprattutto il lavoratore, i cui salari erano ormai ridotti al minimo, non necessitava più del “tempo libero in cui spendere quei salari”, ma doveva solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della controparte (teoria ripetuta dal Prof. Deaglio a Radio 24 tra le 17,30 e la 18,00 di Martedì 27 luglio 2010). Pensare che un uomo di cultura, pur con tutte le argomentazioni di cui è capace, arrivi a sostenere che il tempo libero di un operaio non abbia alcun valore, perché non è correlato al denaro, mi ha tolto l’aria. Sono salito sull’auto costruita dagli operai della Mirafiori di Torino. Sono corso a casa dei miei genitori, l’ho visto per l’ennesima volta. Era curvo, la labirintite, causata da milioni di colpi di pressa, lo faceva barcollare, era debole a causa della cardiopatia, era mio padre, operaio al reparto presse, per 35 anni, in cui aveva sacrificato tutto, tranne il tempo libero con la sua famiglia, quello era gratis. ODORAVA DI DIGNITA'

LA LOTTA DEI KURDI E' PER L'UMANITA'

Dopo i recenti attacchi dell'esercito turco contro i villaggi curdi e la violenza sulle popolazioni, un'analisi sulle vere implicazioni delle azioni militari di Ankara. Uno sguardo sulla tacita accondiscenda dell'Europa nei confronti del terrore di stato operato dalla Turchia e sulle esperienze di autogoverno in atto nei territori curdi. LA LOTTA DEI KURDI E' PER L'UMANITA' Intervista con l'Ufficio d'Informazione del Kurdistan in Italia (UIKI-Onlus) (Gianni Sartori) 1) In qualche modo l'apparizione dell'ISIS (a cui la Resistenza curda ha saputo opporsi adeguatamente) è legata ad alcune delle Primavere Arabe (v. Siria, Libia...) sorte intorno al 2010. Quello che venne descritto come un “risorgimento” della società civile ha subito una innegabile involuzione. Una vostra opinione in proposito. Le Primavere Arabe, in generale, erano rivolte popolari: autentici simboli della ricerca di libertà, democrazia e giustizia dei popoli. I leader di tali movimenti, però, non avevano un obiettivo comune, né un progetto concreto per il futuro. Guardavano a tali rivolte solo come uno strumento per ottenere un cambio di potere. Ciò ha messo in discussione anche l'appoggio popolare: quando il popolo si è reso conto della situazione, si è tirato indietro. Un altro aspetto da considerare è la violenza: quando essa è entrata in gioco, tutto è cambiato, perché sia i regimi dittatoriali che altri stati coinvolti hanno cercato di usarla a proprio favore. I kurdi, al contrario, hanno sempre avuto un progetto: per questo non hanno mai perso l'appoggio popolare. 
 2) Apparivano invece di maggior incisività (laiche, progressiste, autonome...) le sollevazioni che hanno interessato la Turchia negli ultime due anni e in cui era consistente la presenza dei kurdi. Come valutate le prospettive di tali movimenti (anche tenendo conto dei recenti risultati elettorali)? Le rivolte in Turchia sono una risposta all'assenza di un sistema democratico. La Turchia ancora sostiene e difende l'omogeneità dello stato-nazione, considerando tutti gli altri gruppi, popoli e credi come nemici. Principalmente l'atteggiamento della Turchia verso i kurdi è caratterizzato dalla tendenza a negare, annientare ed assimilare. Se lo stato turco continuerà a tenere un approccio antidemocratico e militare su ogni questione, tali rivolte continueranno, anche con possibilità di successo. Il progetto dell'HDP rappresenta l'alternativa al regime antidemocratico presente in Turchia. Nelle elezioni del 7 giugno l'HDP ha avuto un grande successo: e crediamo che continuerà a crescere, perché si tratta di un progetto di pace, basato su democrazia, collaborazione, convivenza e diritti delle donne. 
 3) La Resistenza di Kobane ha sicuramente rappresentato un punto di riferimento estremamente positivo per larga parte dell'opinione pubblica democratica europea. Purtroppo la stessa stampa (e i media in genere) occidentale, che aveva solidarizzato con voi, non sembra scandalizzarsi più di tanto per i recenti raid turchi sui campi profughi e sui villaggi di kurdi (forse perché la Turchia è un membro forte della NATO?). Come giudicate questa ambiguità? Certo, si tratta di una contraddizione: tale ambiguità è negativa. La NATO ha un ruolo e lo sta giocando. La Turchia utilizza i meccanismi della NATO e dei suoi alleati contro di loro: in tal modo li spinge a rimanere in silenzio, affermando che si tratta di una questione interna, di una guerra contro il terrorismo. In realtà non si tratta di terrorismo, ma di una vera e propria guerra, e tutti dovrebbero muoversi nel rispetto della Convenzione di Ginevra. Stati Uniti e Unione Europea dovrebbero fermare questi comportamenti della Turchia, far sentire la propria voce; anche perché dovrebbero riconoscere che i kurdi sono parte della guerra contro l'ISIS e che tutti gli attacchi contro i kurdi facilitano solo l'avanzata di ISIS. La contraddizione di base è chiara: se ISIS è un nemico comune, perché non viene fermata la Turchia quando attacca proprio quei kurdi che hanno lottato e continuano a lottare contro ISIS? 4) Il processo di Pace avviato due anni fa su indicazione di Ocalan sembra essere naufragato a causa della politica guerrafondaia e sciovinista del governo turco dell'AKP. Da un riesame di questo processo, pensate esista ancora una concreta possibilità di riprendere le trattative tra organizzazioni curde e governo turco per una soluzione politica del conflitto? Le questioni non si risolvono con la guerra, ma con la democrazia: né il PKK né la Turchia possono risolvere la questione con la guerra, l'unica strada è la pace, il dialogo, l'alleanza. Entrambe le parti sono consapevoli di questo; se si vuol riprendere il processo di pace, esso dovrebbe essere condotto secondo le convenzioni internazionali. Ogni guerra ha anche la sua pace; per costruire la pace c'è bisogno delle due parti. Quindi è necessario un cessato il fuoco bilaterale; per garantire l'imparzialità di questo processo ci dev'essere una terza parte. Durante i negoziati, i rappresentanti sia del PKK che dello stato turco devono avere gli stessi diritti. 
 5) La Resistenza curda nei territori curdi amministrati dallo stato turco aveva deposto le armi per favorire il processo di Pace ed ora ha reagito agli attacchi dell'esercito turco. E' solo legittima difesa o si preannuncia una intensificazione della guerriglia? Nelle ultime dichiarazioni uscite anche sulla stampa, il PKK afferma chiaramente: la Turchia ha cominciato questa guerra e stiamo solo mettendo in pratica il nostro diritto di autodifesa. In precedenza più volte il PKK aveva dichiarato che l'AKP stava utilizzando la tattica della provocazione, per far ricominciare la guerra, e che i kurdi non intendevano cedere alle provocazioni e mantenevano una posizione di autodifesa 
 6) Cosa vi aspettate dall'Unione Europea che finora sembra alquanto tiepida nei confronti degli attacchi turchi? E dagli USA? Stati Uniti e Unione Europea dovrebbero comportarsi secondo i propri principi, cioè agire per la democrazia e la stabilità, obbligando la Turchia a sedersi al tavolo della pace. E' molto importante che il PKK venga rimosso dalla lista delle organizzazioni terroristiche; è la condizione principale per permettere che si facciano passi verso la pace e per risolvere le questioni in maniera veloce. La questione principale in Turchia è la questione kurda; Unione Europea e Stati Uniti dovrebbero sapere che la soluzione della questione kurda è anche un loro interesse; per questo devono forzare la Turchia a cooperare per conseguire la pace. 
 7) Potreste spiegare in che cosa consiste il progetto di autogestione che interessa un sempre maggio numero di città e villaggi curdi (e non solo)? I kurdi vogliono che venga riconosciuta la loro volontà, vogliono poter scegliere i propri amministratori e rappresentanti locali, vogliono autogovernarsi; stanno cercando di creare un sistema in cui si possano autogovernare dal basso, rimanendo comunque in contatto con il governo centrale. Danno importanza alla convivenza con gli altri popoli che vivono in Turchia, purché sia riconosciuta e rispettata la loro volontà, dal punto di vista politico, culturale, sociale e legislativo. 
 8) Un modello di autonomia come quelli del Südtirol e delle Vascongadas potrebbe rappresentare una soluzione per il conflitto tra popolo curdo e stato turco? Per esempio, con la garanzia di poter usare la propria lingua, studiare in curdo, usare la lingua curda anche nei tribunali, autonomia delle amministrazioni locali... E soprattutto, la Turchia è pronta per una tale evoluzione? I kurdi vogliono l'Autonomia Democratica: vogliono prendere le proprie decisioni nelle loro regioni, non vogliono essere gestiti da Ankara, vogliono gestire direttamente dal basso le questioni che riguardano loro e i loro territori. Questa proposta non vale solo per i kurdi, ma per tutte le città e tutti i popoli della Turchia. Però, per arrivare a questo punto, è necessaria una democratizzazione della Turchia: attraverso una nuova costituzione, che tuteli l'uguaglianza dei diritti e la possibilità di un'amministrazione dal basso. 10) La Turchia sembra essere ben inserita nel gioco della politica energetica. Ha firmato accordi con l'Europa, la Russia, l'Azerbaigian, la Georgia, l'Iraq...in passato anche con l'Iran, praticamente con tutti, se si esclude l'Armenia. Questo quanto influisce nelle scelte politiche e militari dei governi turchi? Tutta l'energia della Turchia viene dal Kurdistan o arriva in Turchia attraverso il Kurdistan. La Turchia, se accetterà di vivere in pace con i kurdi, avrà un ruolo; per avere il gas, il petrolio e l'acqua dei kurdi è necessaria la pace. 11) A vostro avviso, la concessione della base di Incirlik all'aviazione statunitense potrebbe essere stata una mossa di Ankara per fingere di partecipare alla guerra contro l'ISIS mentre in realtà ha fornito una copertura per riprendere la guerra contro i kurdi? Si sa che gli Stati Uniti hanno bisogno della Turchia, però non dimentichiamo che la Turchia da anni sostiene i jihadisti, in particolare ISIS, che rappresenta un nemico del mondo intero e degli Stati Uniti. Perciò gli Stati Uniti devono opporsi agli attacchi della Turchia contro i kurdi: in quanto il PKK lotta contro ISIS. Gli Stati Uniti non portano avanti una politica chiara nei confronti dei kurdi; ma se vogliono avere un ruolo in Medio Oriente, avranno bisogno dei kurdi, i cui valori sono: secolarismo, democrazia, convivenza pacifica e libertà delle donne 
12) Una valutazione, se possibile, della posizione assunta da Barzani (v. la richiesta ai militanti del PKK di lasciare i territori curdi all'interno dei confini iracheni). La dichiarazione di Barzani è un grave errore, da parte sua: il PKK è un movimento kurdo, fa parte del Kurdistan, e dire al PKK di uscire dal proprio territorio non è una mossa politica ragionevole, non aiuta a raggiungere una soluzione della questione kurda. I kurdi, al contrario, dovrebbero riunirsi in un Congresso Nazionale, al fine di trovare una strategia condivisa. Quelli che attaccano i kurdi, senza fare distinzioni, attaccano in sostanza ogni movimento e l’intera popolazione. (Gianni Sartori su anarkismo.net)

Trieste bella città

Egregio Compagno Sindaco, I perfectly well understand that a large population cannot abandon it's criminal behavior in short period of time, like parts of US still have, 150 years after the Civil War, flourishing racism, with police on it's front edge. So I didn't expect Italy to be drastically changed from my last visit in 2005, when I was almost killed at port of Bari spending consequently several days recovering in local hospital. But neither I expected treatment received on Friday August 28th, 2015. Returning home I started to feel pleurisy pain like never before, although I had been chosen on the basis of resiliency to NBC contaminants at least 300 in 60000, probably had much tougher selection, and later vaccinated against all chemical and biological poisoning, maybe even nuclear. Knowing this I can hardly imagine average person even surviving 7 short hours in your lovely town. The other thing foreigner have to endure in Italy is common European racism and xenophobia, which in your country have unreproducible peculiarities. One of which is calling people who are Gypsy, and much more often who are not, derogatory ethnonym for that ethnic group as an insult. As a nonitalian, IQ>180 doesn't help there, I simply can't see the poetics of it. I would never call fascist swine Italian, ethnic name for me is always reserved for positive characteristics. Italian is someone who is always overdressed and has impeccable style, likes good food and have perfect taste for music. Gypsy, on the other hand, is a person who loves and appreciates to the utmost her or his freedom, has very generous and wide soul and despises all signs of petit bourgeois symbolism. Some Italians and some Gypsies are bad person but I can't connect using the name of the people as an insult with that fact. Serving with me in 1983 Settore da Confine Murska Sobota was Private Nenadovic, a Gypsy, he passed our usual selection of 300 in 60000, most likely another round of it during training and failed just the last one ~1 in 10000, and he was selected from minute population of something like 50000, my talent pool was much deeper, more than 4 million, therefore they should be genetically superior to us. One day came to visit us Border Section CO maggiore Toplica Gajic ordering several soldiers to bring their boxes to the yard, then pulled a shoe from a box, checked the sole yelling what is this Comrades, are we Gypsies, and that is how much liberty with racial slur can one afford in Balkans without being badly beaten, I responded maybe you are not, but Private Nenadovic and I are, after too short second or two of confusion he kept going on, throwing shoe as it Italian operetta soldier would throw hand grenade, with left hand extended in the direction of the through and actually throwing with right hand, few shoe hits later Private Nenadovic asked me if have noticed that this one is throwing shoes as hand grenades, I said that it occurred to me, after which maggiore Topliza yelled again two of you what are you talking about, I said Private Nenadovic asked me how far flies hand grenade when a soldier throws it, Topliza responded the same as this shoe, at this point Private Sebez of photo model or command platoon, these had perfect facial features, were tall, very intelligent, better educated and more than that cultured, for my purposes militarily useless, just nice people, and he was with us after making something properly sbagliato at command, so Sebez couldn't control his laughter and ran into the building, maggiore Topliza asking where is he gone, I told him he feels the urge, he had to go. After throwing satisfactory number of shoes maggiore Topliza took a hike, exchanging last words with us he notices Private Sebez, turns to him and tells briefly militarily diarrhea, Sebez responded in disbelieve what, do you have diarrhea, no. And I kept calling Sebez for a while Comrade Diarrhea, so if Private Nenadovic was good enough for elite fanteria leggera yugoslava or elite fanteria leggera balkanica he is pretty much good enough for anything in Italy, which makes me even less understand calling people Gypsy as an insult. And, at the end, it is illegal by §§ 1,2 of The Universal Declaration of Human Rights adopted by UNGA on December 10th, 1948. The defascisication in your town you can start with simple step like erecting a monument to II proletaria popololiberazione brigata d'assalto Dalmazia, the best fanteria leggera outfit, and then the best antifascist fanteria legera outfit, of seconda guerra mondiale which ended it's war path in Trieste suburb of Servola, or to uncover the plaque in memory of Kampfgruppe Panovic, 9 elite fanteria leggera soldiers of FAY who decided to die at age 19 detonating Mura River bridge in Radenci slowing down advance of Warsaw Treaty force that will later occupy Italy, or employing me as defascisication officer, I'll do that Sizif's work for just €1000 a month out of admiration and respect for all Italians who chose not to be fascists in period 1922-2015, or to do anything else, good will matters, nothing else does. I sincerely hope that you will opt to do something about this unhappy set of circumstances, and more than that that I will not have to live through another Friday, August 28th. Distinti saluti. Marin Panovic Sottotenente del Servizio da Confine FAY

domenica 30 agosto 2015

Per un programma ecosocialista

Pubblichiamo la trascrizione (rivista e ridotta dall'autore) della relazione tenuta da Daniel Tanuro lo scorso 28 luglio al 32° campeggio internazionale anticapitalista, che ha avuto luogo in Belgio. La relazione è stata rivista anche sulla base degli interventi di quell'incontro, che hanno permesso all'autore di ritoccare e precisare il testo in alcuni punti. Daniel Tanuro è uno studioso ecologista belga, tra i membri di “Climate Change”, molto attivo nelle mobilitazioni internazionali contro il riscaldamento climatico. I suoi articoli sono tradotti in tutto il mondo. Di fronte all’urgenza ecologica: progetto di società, programma, strategia In Aprile, due equipe differenti di glaciologi statunitensi specialisti dell’Antartide sono arrivati – con metodi diversi, basati sull’osservazione - alla stessa conclusione: rispetto al riscaldamento climatico globale, una porzione della calotta glaciale ha cominciato a sciogliersi e questo scioglimento è irreversibile. Anche se gli scienziati sono riluttanti a considerare le loro proiezioni certe al 100%, sono stati comunque categorici: “il punto di non ritorno è superato" hanno dichiarato nel corso di una conferenza stampa congiunta. Secondo loro, nulla può impedire un aumento del livello degli oceani di 1,2 metri nei prossimi 3-400 anni. Stimano sia molto probabile che il fenomeno porti alla destabilizzazione accelerata della zona adiacente, ciò che potrebbe causare un aumento supplementare del livello degli oceani di più di 3 metri. >SCARICA LA RELAZIONE COMPLETA DI TANURO pdf da communianet.org

venerdì 28 agosto 2015

Ministero buffo e i dati veri del Jobs Act

Editoriale de "Il Manifesto" - quotidiano comunista del 26.8.2015 Ministero buffo e i dati veri del Jobs Act Jobs Act. Il problema di fondo non è solo algebrico, ma anche politico. In Italia si persevera nell’idea che le informazioni statistiche siano un giocattolo ad uso e consumo dei governi e non invece il mezzo di sintesi che per eccellenza ci restituisce nitidamente i fatti Il Mini­stero del Lavoro si era sba­gliato, facendo lie­vi­tare di 1.195.681 il numero di con­tratti avviati al netto delle ces­sa­zioni tra gen­naio e luglio di quest’anno. Un errore cla­mo­roso, che non può essere giu­sti­fi­cato come svi­sta nei cal­coli data la sua entità e che lo staff di Poletti cor­regge solo nel pome­rig­gio di ieri, eli­mi­nando dal sito le infor­ma­zioni con­te­nenti gli errori, così come se nulla fosse. Nella mat­ti­nata invece rila­scia­vano una dichia­ra­zione su Repub­blica in cui l’errore di com­pren­sione e ela­bo­ra­zione dei dati era a carico degli stessi gior­na­li­sti che chie­de­vano chia­ri­mento. Insomma un modo inso­lito di rico­no­scere il merito in chi fa dav­vero il pro­prio lavoro. Il pro­blema di fondo non è solo alge­brico, ma anche poli­tico. In Ita­lia si per­se­vera nell’idea che le infor­ma­zioni sta­ti­sti­che siano un gio­cat­tolo ad uso e con­sumo dei governi e non invece il mezzo di sin­tesi che per eccel­lenza ci resti­tui­sce niti­da­mente i fatti. Per­ché come già Paolo Sylos Labini nel suo sag­gio sulle classi sociali negli anni 80 “Un’analisi della strut­tura sociale che non fac­cia rife­ri­mento alle quan­tità si risolve in una pura fabu­la­zione” ed è quindi mano­vra­bile. Ma i dati non bastano serve anche l’onestà intel­let­tuale nella nar­ra­zione che segue l’analisi delle infor­ma­zioni sta­ti­sti­che, la stessa che dovrebbe gui­dare i governi e i pro­pri entou­rage, tec­nici o meno, pur sem­pre politici. Dalle pagine di que­sto gior­nale ci si inter­ro­gava ieri sulla discre­panza dei dati pub­bli­cati nella tabella rie­pi­lo­ga­tiva del Mini­stero e quelli che era pos­si­bile rico­struire attra­verso le note men­sili, notando come già solo per i rap­porti di lavoro a tempo inde­ter­mi­nato, al netto delle ces­sa­zioni, si riscon­trava una dif­fe­renza di circa 303 mila contratti. A guar­dare la nuova tabella pub­bli­cata ieri si evince che al netto di alcune revi­sioni, ave­vamo for­nito una stima cor­retta dell’errore e quindi un cal­colo della situa­zione con­si­stente con la realtà. I con­tratti netti a tempo inde­ter­mi­nato tra gen­naio e luglio di quest’anno sono 117498 (non oltre i 420 mila come pub­bli­cato ieri). Guar­dando il totale rela­tivo a tutte le tipo­lo­gie con­trat­tuali si nota che i nuovi rap­porti netti di lavoro sono 1.136.172 e non 2.331.853. L’errore stava dun­que nei cal­coli, non nelle ope­ra­zioni di revi­sione (che sepa­rano lie­ve­mente le stime for­nite ieri su Il Mani­fe­sto ieri dai dati effet­tivi). Secondo la com­po­si­zione per tipo­lo­gia si nota che solo il 10% dei con­tratti sono a tempo inde­ter­mi­nato, l’87.3% a ter­mine, l’apprendistato e i con­tratti clas­si­fi­cati come “altro” rap­pre­sen­tano rispet­ti­va­mente il 3.4% e il 2.2% dei con­tratti. Il giu­di­zio sulle riforme del governo rimane stabile. La noti­zia quindi sta nell’errore con­si­de­re­vole com­messo dallo staff del Mini­stero del Lavoro pub­bli­cando una tabella com­ple­ta­mente errata. Distra­zioni ed errori di cal­colo sono pos­si­bili, ma è inam­mis­si­bile che un uffi­cio sta­ti­stico non con­trolli prima di dare noti­zie in pasto alla stampa. L’entità dell’errore avrebbe dovuto far sob­bal­zare chiun­que in que­sti mesi abbia seguito le dina­mi­che del mer­cato del lavoro, tec­nici del mini­stero o gior­na­li­sti che siano. Nel frat­tempo, se è vero che l’ufficio stampa del Mini­stero ha inviato nel pome­rig­gio di ieri un’agenzia alle reda­zioni alle­gando la tabella cor­retta, è altret­tanto vero che ini­zial­mente la giu­sti­fi­ca­zione a tali discre­panze, for­nita sulle pagine di Repub­blica in un arti­colo a firma di Valen­tina Conte, è stata del tutto ina­de­guata. Ini­zial­mente il dato non è stato smen­tito ma giu­sti­fi­cato in base al fatto che le infor­ma­zioni con­te­nute nel sistema ven­gono costan­te­mente aggiornate. Ma le revi­sioni non pos­sono certo stra­vol­gere i dati sep­pure prov­vi­sori for­niti a venti e qua­ranta giorni dalla chiu­sura del mese di rife­ri­mento, altri­menti signi­fi­che­rebbe che le imprese pos­sono comu­ni­care avvia­menti e ces­sa­zioni di rap­porti di lavoro con dila­zioni tem­po­rali che non per­met­tono nes­suna valu­ta­zione dell’andamento del mer­cato di breve periodo e quindi delle riforme, ren­dendo il sistema sta­ti­stico sem­pli­ce­mente inutile. Nella stessa dichia­ra­zione non emerge mai il bene­fi­cio del dub­bio: «Fa così anche l’Istat, ma nes­suno obietta mai», la dif­fi­coltà a capire i dati da parte dei cit­ta­dini è “il prezzo da pagare, spiega ancora il mini­stero, «per aver voluto dif­fon­dere gli aggior­na­menti una volta al mese, anzi­ché ogni tri­me­stre»”. Falso! L’Istat pub­blica ogni mese i dati e si pre­mura di for­nire il mese suc­ces­sivo le even­tuali revi­sioni. Il mini­stero del Lavoro potrebbe pren­dere esem­pio dal metodo Istat, senza lamen­tarsi della fre­quente pub­bli­ca­zione dei dati, che ser­vono ai cit­ta­dini pro­prio per dira­mare, oltre gli errori ingiu­sti­fi­ca­bili di cal­colo, la neb­bia pro­vo­cata da mesi di propaganda.

giovedì 27 agosto 2015

ELETTRODOTTI/Poche chiacchiere l'elettro-mostro va demolito!!

Riceviamo e pubblichiamo LA BANDA DEL RICATTO L'abitudine a farla franca e l'arroganza del potere fanno brutti scherzi a chi li esercita senza ritegno. Ma se il lestofante ha le sue disgustose ragioni, ben più penoso è il comportamento dei suoi complici, specie se sono a carico del pubblico erario. Rabbiosa e persino minacciosa la reazione della TERNA: altro non poteva essere quella di una Società abituata a passare sulla pelle delle popolazioni rurali, pronta ad abusare dei beni comuni e a dettare legge a schiere di politici e servi istituzionali. Lo ha fatto agitando lo spettro del blackout, quando sa perfettamente che se ciò dovesse avvenire, sarà da imputare esclusivamente alla sua ricattatoria volontà. Ebbene, lo ha fatto scientemente con calcolato cinismo per spaventare la gente comune e dare benzina agli incendiari della stampa asservita al potente di turno. Cosicché, anziché inchinarsi davanti ad una sentenza inequivocabile e riflettere sui gravissimi abusi che se ne deducono, la reazione della TERNA pesca nel torbido. Non essendo riuscita ad addomesticare il tribunale amministrativo come hanno potuto fare al TAR del Lazio, oggi si arrampicano sugli specchi e screditano il Consiglio di Stato accampando un illusorio vizio di forma che si dicono certi di impugnare in Cassazione, ben sapendo che non c'è Cassazione che tenga davanti alle sentenze di Palazzo Spada. Abituata a farla da padrona con tutti, nelle sue deliranti affermazioni si è fatta infine scudo del problema occupazionale e delle ripercussioni economiche che ne deriverebbero. Ma dove hanno toccato il fondo è stato nel momento in cui hanno tirato in ballo “12 anni tra concertazione, autorizzazioni e cantieri...” : ben sapendo di aver fatto carne di porco della democrazia partecipata. Ogni persona seria, con un briciolo di onestà intellettuale e un minimo di cultura della legalità avrebbe accolto la sentenza del Consiglio di Stato con un senso di gratitudine e di liberazione. Non così è stato per la Televisione di Stato e per qualche altro disgustoso organo di “disinformazione” che ha rilanciato il ricatto, tale e quale è stato divulgato dalla TERNA: con una sudditanza che non ha nulla a che vedere con il dovere di cronaca e senza porsi minimamente il dubbio di aver dilatato un allarme sociale di inaudita gravità. Inaudita altera parte e senza il benchè minimo distinguo a dimostrazione di essere parte e complice... per giunta con il denaro del contribuente. Da subito si è levata la canizza dei complici che hanno lasciato impronte indelebili lungo un percorso costellato di nefandezze, omertà e ignobili silenzi. C'è poco da illudersi: per loro è arrivato il momento di fare quadrato, di latrare frasi sconnesse che alludono allo sviluppo, al futuro e non certo allo Stato di diritto. E' arrivato il momento del boia chi molla! Perché affermandosi la verità e il diritto, potrebbe crollare il palco della assuefazione costruito in anni di cocenti delusioni, di politici venduti, di un associazionismo paramafioso che ha portato la popolazione verso una arrendevole sfiducia nei confronti di tutto: delle istituzioni e soprattutto nei confronti della giustizia e dei propri diritti. Ridare fiducia e dignità alla gente vorrebbe dire sottrarla a quella sindrome di Stoccolma che la fa stare dalla parte dei delinquenti o, se vogliamo da quella analoga sindrome del cornuto che si preoccupa di non tornare a casa prima che se ne vada l'amante della consorte. Tutti hanno constatato lo scempio subito dal paesaggio invaso dai mostruosi piloni e anche coloro i quali si riempiono la bocca di economia verde, di valori aggiunti e vanno all'EXPO a nascondere la loro perfidia dietro gli slogan della sostenibilità e delle eccellenze, oggi avrebbero avuto la possibilità di ravvedersi e di capitalizzare una sentenza che riafferma la legalità e con essa le qualità di un territorio che può essere fonte di ricchezza morale ed economica. Invece, messo in dubbio il sistema e le rendite di posizione, latrano i caporioni e per induzione latrano anche i servi che non vogliono dispiacere ai padroni e che sotto sotto non vogliono ammettere di essere stati i fautori della loro sudditanza. Tralasciamo le considerazioni e gli slogan da bar sport dell'imberbe presidente degli industriali, cui non possiamo certo addebitare quella vistosa e giovanile inesperienza sufficiente ad attirare l'interesse del Veneto Messaggero. Dagli industriali ci saremmo attesi ben altri livelli e un atteggiamento consono al loro ruolo e alla gravità del momento. Ma a dir poco scandaloso è stato il latrare dei sindacalisti, spinti sulle barricate dalla TERNA stessa con il presupposto della perdita occupazionale che la sentenza comporterebbe. Ebbene, non li abbiamo mai visti contestare un'impresa che sapendo a priori della sentenza avversa ha giocato il tutto per tutto per accelerare i lavori, senza la benché minima logica funzionale se non quella di creare il fatto compiuto per poter irridere la legge e farsi scudo dei servi sciocchi. Eppure non li abbiamo visti nei cantieri a prendere atto che le maestranze erano per la stragrande maggioranza forestieri e forse non tutti in regola, molti i peruani... Si sarebbero accorti delle disumane e pericolosissime condizioni di lavoro cui erano sottoposte per fare presto, convinte che la sentenza avversa dovesse arrivare a inizio settembre grazie ad una non casuale negligenza della cancelleria del Consiglio di Stato. Altrimenti, vedendoli lavorare a sessanta metri d'altezza come quel povero Cristo morto precipitando dal Pilone della TERNA in Abbruzzo, avrebbero dovuto rivolgersi all'Ispettorato del lavoro, come abbiamo fatto noi soli. Andando per i cantieri, si sarebbero anche accorti di essere inseguiti da un tale che a scanso di equivoci e di denuncia, ad ogni buon conto teneva in mano una mazzetta pronta all'uso... Noi che abbiamo creduto nella legalità e nella non violenza, noi per la medesima ragione domani li denunceremo per procurato allarme sociale ! Tibaldi Aldevis Comitato per la Vita del Friuli Rurale www.facebook.com/comitato.friulirurale

domenica 23 agosto 2015

BASSA FRIULANA/ Stop OGM (articolo ripreso da infoaction)

BASSA FRIULANA/ Stop OGM Messaggero Veneto 23 agosto 2015 Stop agli Ogm: a Porpetto esulta il Coordinamento «Anche nella Bassa friulana stop al mais Ogm. Così il sindaco-biologo Pietro Dri e l’agricoltore di San Giorgio di Nogaro Cesare Sguazzin dovranno riporre nel cassetto i loro piani Ogm. La nostra attenzione resta alta per intervenire a contrastare ogni distorsione concettuale e pratica su questo problema». Marinella Bragagnini, del Coordinamento di difesa ambientale della Bassa friulana, entra a gamba tesa contro gli estimatori delle coltivazioni Ogm. «Il tentativo di Giorgio Fidenato e Leandro Taboga – dice – di attuare una sedicente sperimentazione con mais Ogm in “campo aperto” è stato definitivamente stroncato dalla Procura di Udine, che, pure mossasi in ritardo, ha ordinato la completa distruzione del campo di mais di Laibacco in comune di Colloredo. Dobbiamo ricordare che il Coordinamento per la biodiversità era intervenuto già il 21 luglio a chiedere un tempestivo intervento di rimozione e distruzione delle colture di mais Ogm sia a Vivaro che a Colloredo. Per quanto riguarda il contenzioso sugli Ogm sviluppatosi nella Bassa, speriamo che questo triste capitolo sia definitivamente chiuso. Ricordiamo che il sindaco Dri si era imposto all’attenzione dell’opinione pubblica per aver arbitrariamente dichiarato la disponibilità del Comune di Porpetto a ospitare le coltivazioni di mais Ogm. Ora – conclude Bragagnini – esce definitivamente perdente!». (f.a.)

sabato 8 agosto 2015

Sognando l'atomo

i Sono passati settant'anni. L’atomica non finisce mai di incombere su di noi. Per questo ricordare la prima volta in cui è stata usata su obiettivi civili, a Hiroshima, e poi la seconda, a Nagasaki, non è un dovere di memoria e di pietà puro e semplice ancorché necessario: è una meditazione obbligatoria sul presente e su un sempre possibile futuro prossimo, sull’infinita capacità di male delle società e dei singoli. Doppiozero ricorda le due tragedie con le riflessioni di Yosuke Taki oggi e di Giuseppe Previtali domani. A Nuclear Story In questi giorni ho avuto modo di collaborare alla traduzione di un film su Fukushima (Fukushima: A Nuclear Story) di e con Pio D’Emilia, il noto giornalista italiano che vive in Giappone da più di trent’anni. È un film bellissimo che avrebbe dovuto fare un giapponese, ma soprattutto è stata un’occasione per rendermi conto di quanto un’intera generazione di giapponesi, dopo gli anni Cinquanta, sia stata allevata sotto un’ingannevole pioggia di messaggi subliminali, nemmeno tanto celati, per indurci a credere che l’energia nucleare fosse una cosa buona e pacifica, e che tutto ciò sia avvenuto sotto un’enorme pressione americana. Questo non è il soggetto principale del film di Pio, che indaga invece sull’incidente della Centrale di Fukushima, ma di riflesso la visione di quel lungometraggio mi ha permesso di ripercorrere la nostra “storia nucleare”, subdolamente manipolata dalle informazioni (giornali, tv, mostre) e dalle immagini (film, cartoni animati, ecc.), in un quadro di globalizzazione che abbraccia un arco di quasi settant’anni. Hiroshima, agosto 1945 Mio padre attraversò a piedi la città di Hiroshima pochi giorni dopo l’esplosione atomica del 6 agosto 1945. All’epoca, adolescente, studiava come tutti i ragazzi brillanti della sua generazione presso una famosa Accademia militare nipponica che si trovava a Edajima, un’isola nella baia di Hiroshima a soli 15 km dal punto zero dell’esplosione. Mio padre ricordava che la mattina presto di quel fatidico giorno gli allievi stavano già studiando da soli in aula, ma poco dopo le 8.00, all’improvviso, videro entrare una forte luce violacea dalle finestre. Pochi secondi più tardi seguirono fortissime vibrazioni di tutte le finestre. Usciti subito fuori dagli edifici, gli allievi si trovarono di fronte il “fungo” che s’innalzava, in direzione del centro città. Chissà cosa pensò mio padre in quel momento. So quanto era stata grande, entrando in Accademia, la sua delusione di fronte ai comportamenti assurdi e irrazionali di molti militari, tanto da arrivare a odiare tutto ciò che riguardava la guerra e l’esercito, ma chissà cosa gli passò nella mente in quell’istante. Non ne abbiamo mai parlato. Mio padre raccontava che in seguito, pochi giorni dopo, l’Accademia fu sciolta in modo confuso, senza nemmeno un rito ufficiale degno della sua fama, mandando semplicemente tutti a casa. I suoi genitori abitavano a Kobe, a circa 300 km a est, quindi anche lui, come tanti suoi compagni, dovette raggiungere a piedi la stazione di Hiroshima e in quell’occasione attraversò la città appena devastata. Per decenni non parlò con nessuno di quel giorno. Mi accennò più volte solo di una memoria particolare, quella olfattiva, che gli rimase sempre molto vivida anche dopo decenni: diceva di ricordare un odore simile a quello della salsa di soia bruciata, che in realtà era l’odore degli innumerevoli cadaveri bruciati che riempiva le strade di Hiroshima. Per lui, quello era l’odore della bomba atomica. Oggi come oggi nessuno entrerebbe in una città appena devastata da una bomba atomica, (per fortuna mio padre non rimase contaminato), ma all’epoca quasi nessuno sapeva di che si trattasse, tanto meno si conoscevano gli effetti della radioattività. La gente diceva semplicemente “una nuova bomba”, o più comunemente “pika-don”. “Pika!” è l’onomatopea che indica un’improvvisa e fortissima emissione di luce, mentre “Don!” è un boato fragoroso. Questa dicitura racconta molto bene come la bomba atomica, almeno inizialmente, fosse vissuta fortemente a livello fisico-percettivo, senza che una vera informazione raggiungesse subito la popolazione. Atoms for Dream Anche dopo la guerra abbiamo continuato ad assistere a una non-informazione sul nucleare, o peggio, a una perversa operazione di deformazione di ricordi e sentimenti negativi fatta passare come speranza di progresso. Le memorie vere sono state mandate in esilio non solo dal “non voler ricordare” di molte persone per motivi anche comprensibili, ma sono state spesso manipolate e trasformate in qualcos’altro sotto la campagna pro-nucleare del dopo guerra per favorire lo sviluppo dell’industria nucleare in Giappone, sostenuta fortemente dagli americani. Il sociologo giapponese Shunya Yoshimi ha pubblicato nel 2012, a un anno di distanza dall’incidente di Fukushima, Atoms for Dream, un libro che analizza le varie strategie attuate in quella campagna pro-nucleare che portò il Giappone a divenire paradossalmente una delle nazioni sostenitrici più convinte sulla questione nucleare. Riassumendo il suo libro, provo a ripercorrerne qui le tappe più significative. Atoms for Dream (2012) Com’è facile comprendere, all’inizio per i sostenitori del nucleare la strada fu piuttosto avversa. Le devastazioni apportate dalle due bombe nucleari americane alle città di Hiroshima e Nagasaki erano ancora sotto gli occhi di tutti. A queste si aggiunse, nei primi anni del dopoguerra, un altro episodio che in Giappone ebbe vasta eco. Il 1° marzo del 1954, nel corso del cosiddetto “test Bravo”, gli Stati Uniti sperimentarono una nuova bomba atomica all’idrogeno sull’Atollo di Bikini nelle Isole Marshall, nel Sud Pacifico. Gli scienziati americani calcolarono male la potenza dell’ordigno: invece dei previsti 4.8 Mt la nuova bomba si dimostrò in realtà tre volte più potente (15 Mt), vale a dire 1000 volte più potente della bomba all’uranio caduta su Hiroshima. Circa 20.000 abitanti della zona, insieme a centinaia di pescatori che si trovavano in tratti di mare classificati come “sicuri”, rimasero contaminati. Anche il peschereccio giapponese Daigo Fukuryu-maru si trovava in una zona definita “sicura”, a circa 150 km di distanza dal punto zero, ma tutti i 23 membri dell’equipaggio rimasero contaminati e il marconista Aikichi Kuboyama morì pochi mesi dopo. Gli Stati Uniti non ammisero mai la propria colpa, anzi dichiararono che la malattia di Kuboyama era dovuta a elementi chimici presenti nel corallo della zona. Fu l’inizio di un fortissimo movimento anti-nucleare in Giappone, guidato dalle casalinghe di un distretto di Tokyo, che raccolse addirittura 32 milioni firme, circa un terzo della popolazione nazionale di allora! Il sentimento anti nucleare, mischiato al sentimento anti americano, stava crescendo in modo allarmante. All’epoca, il Giappone aveva un’importanza strategica vitale per gli USA nel quadro della guerra fredda appena iniziata e gli americani non potevano permettere un movimento anti nucleare e un sentimento anti americano così forti in territorio giapponese. Temevano che il Giappone potesse cadere nella sfera dei Sovietici e sentirono il bisogno assoluto di riconquistare l’opinione pubblica nipponica affinché tornasse un “sentimento positivo” nei loro confronti. Proprio in quel periodo partiva il programma Atoms for peace del Presidente Eisenhower, che mirava da una parte all’installazione strategica delle loro armi nucleari e dall’altra alla promozione dell’uso pacifico dell’energia nucleare. La strategia bellica mondiale connessa con il business di grandi aziende multinazionali (GE ecc.) segna l’inizio della vera e propria globalizzazione. Il governo giapponese di destra, a sua volta, non voleva perdere l’appoggio americano per la ricostruzione del paese. Si dimostrò quindi molto favorevole a questa iniziativa americana e collaborò attivamente con gli americani per dissipare le memorie di Hiroshima e Nagasaki. È a questo punto che entra in scena un personaggio straordinario. Matsutaro Shoriki era un grande tycoon di media, proprietario di giornali e tv, nonché signore e padrone della squadra di baseball più vincente della storia giapponese. Insomma, una sorta di Berlusconi giapponese del dopo guerra. In questo progetto nippo-americano ebbe un ruolo importante. Shoriki era un ex criminale di guerra, riabilitato grazie alla sua collaborazione con la CIA. Profondamente convinto che la prosperità del Giappone fosse garantita solo attraverso l’amicizia con gli USA, ma anche per sua ambizione politica personale (più tardi divenne il primo presidente del Comitato sull’Energia Nucleare e anche Ministro della Scienza e della Tecnologia), si dedicò a lanciare una grande campagna pro-nucleare sul suo quotidiano e sul suo canale tv e a organizzare esposizioni e convegni dedicati al tema dell’uso pacifico dell’energia dell’atomo. Matsutaro Shoriki Nel 1955 allestì una grande mostra itinerante intitolata “Fiera sull’uso pacifico dell’energia nucleare” che seminò nella mente dei giapponesi l’idea positiva del nucleare capace di creare un futuro luminoso. La mostra ebbe luogo in diverse città principali del Giappone come Tokyo, Kyoto, Osaka, Sapporo, ecc., ottenendo un enorme successo (2.600.000 visitatori in due anni). Durante l’esposizione, l’opinione di coloro che visitarono la mostra si spostò decisamente verso il sì all’energia nucleare (92%). Nel 1956, la stessa esposizione arrivò addirittura al “ground zero” di Hiroshima e nel 1958, sempre a Hiroshima, ebbe luogo la “Grande Fiera sulla Ricostruzione di Hiroshima” che accolse ben 900.000 visitatori. Da sinistra: Fiera sull’uso pacifico dell’energia nucleare (Sendai, 1956); Grande Fiera sulla Ricostruzione di Hiroshima (1958) Perché Hiroshima? Perché senza mutare il simbolo non c’era futuro per il nucleare in Giappone, e i suoi sostenitori lo sapevano. Lisa Yoneyama, storica americana esperta di storia contemporanea giapponese, spiega così la manipolazione politica dell’immagine della città di Hiroshima: “La città commemorativa di Hiroshima fu, per così dire, disegnata appositamente per dimostrare l’intercambiabilità tra ‘bomba atomica’ e ‘pace’”. Attraverso una complessa operazione politico-sociale-urbanistica, la “città che ha subìto la bomba atomica” si è trasformata in una “città di pace” nell’immaginario delle persone. Tra le due nozioni, legate da una terza (ricostruzione), sembra nascere una consequenzialità logica, naturale: bomba atomica – ricostruzione –pace. Questa consequenzialità, così logica, venne scambiata addirittura per intercambiabilità. Fu così che la parola “pace” riuscì a soverchiare la parola “bomba atomica”, facendo indebolire le radici di memorie scomode. Ora che il simbolo Hiroshima era stato neutralizzato, le parole “atomica” e “nucleare” si fecero molto più libere, leggere, senza più la zavorra della bomba atomica. Fu un’operazione straordinariamente cinica e perversa. Infanzia nucleare Per quanti erano bambini (e non) tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta in Giappone – me compreso – i due “eroi” che più di ogni altro conquistarono il nostro immaginario furono Godzilla, un mostruoso gigantesco rettile, e Atom, il protagonista di un manga e poi dell’omonimo cartone animato giapponese Atom, braccio di ferro, che sembra la storia di un Pinocchio del futuro tra un robot bambino atomico e un anziano scienziato. Entrambi i personaggi avevano a che fare con l’energia nucleare, ed entrambi inizialmente portavano con sé un senso molto critico nei confronti di essa. Eppure, in seguito, divennero le operazioni mediatiche pro-nucleare più efficaci di ogni altra promozione. Questi due “eroi” riuscirono a “contaminare” profondamente il nostro immaginario con l’idea positiva del nucleare. E la massa non se ne accorse. Infatti, da piccoli, la parola “atomo” era per noi inevitabilmente legata a questo simpatico robot bambino o al mostro buono, che non suscitavano in noi alcun senso di timore. “Atomo” significava potenza, progresso e giustizia. Se oggi l’industria robotica giapponese è all’avanguardia, è proprio perché molti ingegneri robotici sono cresciuti guardando Atom in televisione. Forse qualcuno non lo sa, ma il Godzilla originale non è un prodotto hollywoodiano, è una creazione giapponese del 1954: la parola “Godzilla” nasce infatti dalla fusione tra “gorilla” e “kuzira”, che significa “balena” in giapponese. Il film originale Godzilla raccontava la storia di un terribile mostro nato (o risvegliato) nel Sud Pacifico a causa della sperimentazione della bomba all’idrogeno, una creatura demoniaca che nella sua avanzata inarrestabile arriva a distruggere il Giappone. Il mostro era chiaramente una metafora legata al terrore delle armi nucleari e alle ombre incombenti dell’America minacciosa. L’impatto sul pubblico fu enorme (9.610.000 spettatori), e nei decenni che seguirono ci furono ben 27 sequels. Ma a partire dal quinto film del 1964, il carattere del mostro cambiò radicalmente. Diventò buono. Un grande mostro buono, amico dei bambini, che combatte contro mostri cattivi per proteggerci. La metafora fu completamente capovolta. La popolarità di Godzilla in seguito cominciò a calare, ma parallelamente aumentò la diffusione delle centrali nucleari in ogni angolo del Giappone. Godzilla marginalizzato, il nucleare concretizzato. Astro Boy (Atom dal braccio di ferro), di Osamu Tezuka, dal 1952 Atom fu invece la creazione del leggendario maestro di manga Osamu Tezuka, che iniziò a pubblicarlo come manga dal 1951. Il manga originale non mancava mai di fare un accenno alla problematicità della convivenza tra la tecnologia e l’uomo, e di certo non era un omaggio all’energia nucleare. Si sentiva la presenza di una chiara consapevolezza del pericolo rappresentato dalla potenza dell’atomo. Eppure, quando fu lanciato come primo cartone animato giapponese della storia della televisione (dal 1963, un successo fenomenale con uno share che raggiunse addirittura il 30%!), questo senso critico si ritirò sullo sfondo e il personaggio di Atom fu separato definitivamente dall’immagine della bomba atomica, proprio come se l’energia nucleare non avesse niente a che fare con la bomba atomica. Infatti noi bambini pronunciavamo tranquillamente il nome del personaggio, Atom, o addirittura lo imitavamo, senza minimamente pensare alla terribile potenza catastrofica della bomba atomica. Anche perché non venne utilizzato il termine giapponese ghenshi (atomo), ma rimase la parola inglese atom in traslitterazione giapponese (アトム), per allontanare ulteriormente il nome del personaggio dal suo vero significato. Nessuno fece questa associazione, tanto meno noi bambini. Malgrado la volontà originale dell’autore, il cartone animato Atom fu uno strumento perfetto per cancellare nell’immaginario popolare (soprattutto infantile) il legame tra l’atomo e la bomba. Vi sembrerà uno stupido scherzo, una orribile beffa, ma la sua efficacia fu davvero “atomica”. Riuscì a contaminare la mente di 100 milioni di giapponesi dell’epoca. Quando cresci per anni con il Godzilla buono e Atom in versione cartone animato, il tuo immaginario infantile finisce inevitabilmente saturo di accezioni positive dell’atomo e del nucleare. L’energia nucleare diventa amica ed è qualcosa di forte, coraggioso, e ti sembra giustissima, proprio come il personaggio Atom. Quindi di notte, quando chiudi gli occhi, anche se sogni l’atomo non ti fa più paur

martedì 4 agosto 2015

Dalle Anarchiche e dagli Anarchici pordenonesi tutt*, visto la grave situazione determinatasi a seguito degli attacchi aerei attuati dallo stato turco contro le postazioni del PKK e le comunità curde, e in vista della prossima riunione straordinaria degli ambasciatori della Nato, raccogliamo l'appello inviatoci da Rojin di UIKI e convochiamo una riunione regionale per domenica 9 agosto a Pordenone presso la sede del circolo Zapata, in via Pirandello, 22, alle ore 16, per discutere di eventuali iniziative da mettere in campo contro le politiche di attacco attuate da Erdogan e appoggiate dagli Stati Uniti e la Nato e per sostenere la resistenza curda impegnata a contrastare l'avanzata dell'Isis e a realizzare il confederalismo democratico. Partecipiamo numerosi!!

IX Congresso Nazionale della FdCA

IX Congresso Nazionale della FdCA
1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)