ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA

ADERISCI AD ALTERNATIVA LIBERTARIA/FdCA
O SCEGLI NOI O SCEGLI LORO

campagna contro la contenzione meccanica

per giulio

per giulio

mercoledì 28 gennaio 2015

ORA E’ TEMPO DI UNIRSI INTORNO AL COMPAGNO EMILIO ED AI SUOI CARI

Chi pensava di liquidare la manifestazione di sabato 24 gennaio come una prova di forza di pochi residuati antagonisti, non ha colto la portata di questo evento. Una manifestazione antifascista che ha richiamato migliaia di compagni, cosa mai vista prima a Cremona, per portare solidarietà al compagno Emilio e per ribadire con forza che le sedi fasciste vanno chiuse. Da tempo ormai denunciamo nei nostri comunicati le grosse responsabilità delle autorità cittadine che con troppa disinvoltura concedono spazi a organizzazioni dichiaratamente fasciste, una questura accondiscendente che si lascia sfuggire gli aggressori per denunciare poi gli aggrediti. L’aumento di gravi atti di aggressione e intimidazione a danno di militanti di sinistra oltre ad una aumentata presenza fascista in Italia e in Europa, merita una risposta politica adeguata, creando alleanze e i giusti rapporti di forza per chiudere l’agibilità politica a questi delinquenti. La tradizione anarchica è per l’unità antinazifascista di massa ( non dimentichiamoci il Fronte Unico Antifascista proposto a suo tempo da Errico Malatesta, di tutte le forze antifasciste), coinvolgendo quante più ampie realtà politiche e sociali. Se l’antifascismo dovesse arretrare a scontro tra blocchi minoritari contrapposti, non usciremmo dalla logica delle trappole e degli agguati e continueremmo a piangere compagni abbattuti per mano fascista. Guai se il movimento antifascista dovesse perdere quella connotazione popolare che ha sempre avuto in Italia, e che sembra confermata anche oggi dalla manifestazione di Cremona, perderebbe la sua centralità e la sua irriducibilità antiautoritaria e libertaria per essere insultato ancora una volta quale scontro tra “opposti estremismi” secondo la peggiore vulgata di Stato che ci ammorba da quarantanni. Ora è tempo di unirsi intorno al compagno in fin di vita ed ai suoi cari, basta frignare sui vetri rotti delle banche, qualche lavoratore avrà da fare e l’economia gira. Forse sabato 24 a Cremona abbiamo perso un’occasione, qualcuno però dovrebbe rispolverare il suo antifascismo, vergognose sono infatti le prese di posizione da parte di alcune forze politiche cittadine che non hanno mai chiesto la chiusura della sede dei fascisti di Casapound per chiedere oggi la chiusura dei centri sociali. Ridicoli. Noi siamo e saremo vicino ai compagni del Csa Dordoni per la difesa di uno spazio di aggregazione delle lotte sociali, vedi quelle della casa. Altre sono le sedi da chiudere, quelle degli intolleranti, razzisti e xenofobi, di chi aggredisce a sprangate i compagni e con qualche complicità ne esce sempre fuori. L’antifascismo deve tornare ad essere un valore condiviso nella quotidianità e nelle relazioni sociali altrimenti perderemo tutti. ALTERNATIVA LIBERTARIA / FdCA Fed. Cremonese -- Per non lottare ci saranno sempre moltissimi pretesti in ogni circostanza, ma mai in ogni circostanza e in ogni epoca si potrà avere la libertà senza la lotta!

martedì 27 gennaio 2015

Kobane è libera ! Vittoria ! avanti per la liberazione della rojava .. del kurdistan e tutti gli angoli del mondo !

Dopo 134 giorni di eroica resistenza agli attacchi di ISIS, oggi finalmente le forze di difesa del popolo YPG/YPJ hanno annunciato che la città di Kobanê nel Kurdistan occidentale, Rojava, è stata completamente liberata dalle bande del cosiddetto Stato Islamico. La popolazione di Kobanê ha iniziato a festeggiare, così come in altre città curde. Questo è il risultato dell’eroica resistenza che ha visto la partecipazione di tutta la popolazione curda, donne, giovani, vecchi, bambini, e di volontari giunti a dare il loro contributo da tutte le parti del mondo. Le YPG/YPJ, in collaborazione con Burkan Al Firat e un contingente di peshmerga, non ha arretrato di un passo nonostante la grande disparità di armi e rifornimenti che vedevano l’ISIS in vantaggio: questo dimostra che quando un popolo si difende per la propria vita e per quello in cui crede, non è possibile sconfiggerlo. Salutiamo dunque questo bellissimo risultato che ridà speranza a tutta la regione, ricordando che l’esperienza dei cantoni e dell’autonomia democratica cui i curdi hanno dato vita è ancora sotto attacco; occorre quindi tenere alta l’attenzione per liberare tutte le altre aree ancora a rischio e per chiedere che finisca l’appoggio che molti stati – inclusa la Turchia – continuano a dare a questi terroristi che non rispettano l’umanità. Come Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia chiediamo ora a tutte le forze politiche, sociali, sindacali, alle organizzazioni della società civile in Italia e a tutti i singoli e i gruppi che hanno simpatizzato con la resistenza di Kobane, di adoperarsi con tutti i mezzi e secondo le proprie possibilità per ricostruire insieme la città. Ufficio di Informaizone del Kurdistan in Italia

(DIBATTITO POST MANIFESTAZIONE ANTINAZIFASCISTA DI CREMONA DEL 24 GENNAIO 2015 )Ci giriamo attorno, come condor. - tratto dal profilo FB del CSOA Scurìa

Ci giriamo attorno, come condor. Più che la fame, poté l’imbarazzo. Di essere i primi a parlare. Ad affondare il becco aguzzo nella carne appetibile della carcassa. Perché quel che andiamo ad afferrare, è carne di noi stessi. E ci fa specie. Cremona è stata un fallimento. Oltre le fiamme rosso vivo dell’incendio in cui vorremmo perennemente bruciare le nostre esistenze, oltre la prova di forza che trasuda impotenza, Cremona è stata un fallimento. Ci immedesimiamo. Lo facciamo sempre. Perché oltre l’immedesimazione, c’è il grigio a perdita d’occhio della burocrazia, del calcolo, dell’opportunismo. E le cose, per capirle o capirle un po’ meglio, dobbiamo sentirle. Sulla nostra pelle. Come un taglio profondo. Perché ogni compagno aggredito è nervi dei nostri nervi. Fuor di retorica. Se fossimo stati aggrediti noi, in sessanta contro otto, avremmo valutato due opzioni. E due soltanto. Avremmo deciso. Se allargare alla città, addirittura alla nazione, il compito di offrire i propri corpi, il tempo, a difesa del nostro progetto. O rispondere occhio per occhio, perpetrando quella guerra fra bande che è nel nostro dna, a perenne monito del trasformismo tattico. Nel primo caso, avremmo coinvolto. Raccolto i frutti del seminato. Allargato, per forza di cose, a gente diversa, differente da noi. SEL, Rifondazione, l’Anpi, l’Arci, la Cgil, pezzi del Partito Democratico. Le anime belle, la brava gente sentimentale. Ci saremmo basati sul numero, sulla quantità di antifascisti disposti a metterci la faccia. Sui vecchietti al balcone. Avremmo attraversato il centro, rassicurando gli esercenti e i bottegai, garantendo – a casa nostra – sui compagni e le compagne. Sul loro operato. Alla fine avremmo ringraziato tutti, dal palco. E basta. Nel secondo, avremmo lasciato che la clessidra vuotasse il suo carico di tempo. Un compagno in fin di vita, la rabbia che preme sul sottile strato di pelle che ci divide dall’etere. Non avremmo chiamato nessuno. O, meglio, avremmo chiamato chi di dovere. E, alla scordata, avremmo fatto in modo che i nostri nemici capissero, una volta per tutte, che nessuna offesa – men che meno un tentato omicidio – passa inosservata. La dicotomia tra fascismo e antifascismo – abbiamo già avuto modo di dirlo – è fenomeno residuale. Sganciato com’è dalle dinamiche concrete della vita di tutti i giorni, evaporato in una bolla di teoria che – per quanto valida e vitale per noi – nulla ha a che fare coi bisogni reali, è affare di minoranza. Minoranze. La nostra, da questa parte, e la loro, da quella. Pretendere, ad orologeria, dopo un attacco subito, di travalicare la linea di demarcazione della questione, è già di per sé una scommessa. Cremona è stata un ibrido. A Cremona ci è venuta gente che non si vede in piazza da anni. Gente che – dinanzi alle scadenze di movimento – ha scelto di esaltare il territorio. Gente che affronta l’antifascismo con lo stesso spirito di quei turisti che vanno in Inghilterra a fare gli hooligans, a scadenze bisettimanali. Gente che ritrova il coraggio del riot non appena si allontana di casa, che a casa propria bisogna implorarli per averli sulla barricata. Compagni, per carità. Non siamo certo noi a dover rilasciare patentini di legittimità. E ognuno si muove come meglio ritiene, in questo deserto che più lo si affronta e più si estende. Per noi, per la nostra scelta di antifascismo, decidere di coinvolgere quanta più gente possibile e poi agire da banda è una contraddizione insanabile. Un errore, ai nostri occhi, che avremmo fatto di tutto per evitare. Gli sbirri, le banche, le assicurazioni. Quelli sono nemici sempre. Ma attendere un appuntamento così significativo per dispiegare la nostra forza è un atto che scopre il fianco all’impotenza e alla frustrazione, soprattutto laddove ritiene di dipingersi come possente. I fasci non c’erano. La celere difendeva una saracinesca. La celere non ci ha caricati. Nel fumo dei lacrimogeni è saltato il patto che legava la Cremona antagonista alla città solidale, che aveva risposto all’appello. Perché – e questo dev’essere chiaro – nessuno può permettersi di fare politica prescindendo dal consenso. E nessuno ottiene consenso regalando un pomeriggio di ordinaria guerriglia ad una sonnolente cittadina padana. Pare brutto dirlo, ma è così. Poi, come sempre, è questione di scelte. E se la scelta è stata coscientemente quella di perpetrare lo scontro frontale con gli agenti in divisa in luogo della fascisteria non pervenuta, ben venga. Purché chi organizza sappia a cosa si va incontro. E oggi – ripartiti tutti – il Dordoni è solo. Con mezza Italia – reale e virtuale – che straparla della bellezza delle fiamme, della risposta adeguata, del “giustizia è fatta”. Solo. Con una città delusa e amareggiata. Che non si farà scrupolo a voltargli le spalle, quando sarà il momento. Questione di scelte. Capiamoci: il rivoltoso che vive in ognuno di noi camperebbe sulle barricate. L’adrenalina che scorre a fiotti ed anestetizza, i gas che sballano come tossine in circolo, il peso del casco, il fazzoletto intriso di Maalox, il rischio che esalta, l’epica che guida un passo dietro l’altro, nella direzione sbagliata. Nessun giudizio morale. Va bene così, se l’obiettivo era una notte di fuochi. Ma da militanti politici abbiamo il dovere di guardare oltre. E bloccare il battimani. Perché una cosa è il 15 ottobre, la rabbia degli esclusi che diventa faro per altri esclusi, attira con l’esempio alla linea del fronte dello scontro di classe; altra cosa è l’antifascismo, per tanti semplice argine morale, quando non vessillo costituzionale. In ogni caso, immeritevole di cotanta caciara. E mo so cazzi. Lasciati sul vassoio ai compagni cremonesi, mentre noialtri siamo in giro a raccontarci l’epopea e a postare video, già reduci del 24 gennaio. Questo non certo per dire che dobbiamo piacere a tutti. Ma per ribadire che il fuoco piace a tutti. Ci piace da morire. E che da morire non ci piace spurgare le fogne. Che la logica del giorno di gloria ci sta facendo più male che bene, mentre le città di ognuno di noi – quelle plebee e quelle intoccabili e santificate – hanno tubature a corto di ossigeno. Che necessitano di tecnici e di volenterosi. Un giorno – speriamo non lontano – ci piacerebbe conoscere Emilio. Averlo tra noi, a tavola o al bar. O al mare. Parlare coi suoi e nostri compagni come non siamo riusciti a fare ieri. E raccontare cosa ci ha insegnato Cremona. Che senza costruire, non vale neppure la pena distruggere. tratto dal profilo FB del CSOA Scurìa

Etnografia del quotidiano

sabato 31 gennaio 2015 ore 17,30 Ateneo degli Imperfetti Via Bottenigo 209 / Marghera VE presentazione del libro etnografia del quotidiano uno sguardo antropologico sull’Italia che cambia elèuthera editrice, Milano 2014 ne discutiamo con l’autore Marco Aime Docente di Antropologia culturale Università di Genova L’Italia appare come una società frammentata che di conseguenza agisce in modo disordinato, cosa che impedisce il nascere di una coscienza collettiva. Da qui deriva anche la criticità del rapporto tra cittadino e Stato, un’istituzione che nel nostro paese conserva i tratti tipici dei regimi autoritari, sebbene celati nelle pieghe della legalità. Ateneo degli Imperfetti Via Bottenigo, 209 30175 Marghera (VE) tel. 327.5341096 www.ateneoimperfetti.it

I bancari sono un’altra cosa

Il 30 gennaio le lavoratrici e i lavoratori bancari scioperano per il rinnovo del contratto nazionale: la voglia di lottare contro gli scredidati banchieri è alta, le organizzazioni sindacali non devono deludere le aspettative ripetendo le conclusioni in perdita dei contratti precedenti! I banchieri hanno presentato la loro piattaforma in risposta alla piattaforma rivendicativa approvata nelle assemblee e hanno disdettato in contatto nazionale da rinnovare, i banchieri vogliono: - maggior orario di lavoro - minor stipendio - divisione contrattuale tra gli addetti al settore (metalmeccanici, commercio, contratti per centri servizi diversi dalla rete degli sportelli, tutti comunque con stipendi inferiori) - retribuzione individuale variabile rapportata a quanto si vende (alla faccia della tutela del risparmio della clientela…) - abolizione degli inquadramenti per mansioni a favore di inquadramenti legati al mero giudizio aziendale - trasformazione del sindacato in una appendice aziendale delle decisioni padronali assegnandogli il ruolo di derogare in peggio sia delle leggi sia dei contratti collettivi in vigore. A tutto ciò occorre rispondere con mobilitazioni adeguate e con obiettivi chiari e condivisi da tutta la categoria: ➢ la vertenza dovrà durare tutto il tempo necessario a una conclusione positiva, i banchieri non cambieranno posizione tanto facilmente ➢ gli aumenti di stipendio base dovranno essere veri e non compensati da tagli ad altre voci economiche (scatti, tfr, indennità etc.) come invece accaduto in passato ➢ basta dividere tra lavoratori in servizio e nuovi assunti: è già stata una scelta fallimentare che ha allontanato i giovani dal sindacato ➢ ridurre l’orario di lavoro per contrastare i tagli al personale annunciati (48.000 nel triennio?) ➢ tenere tutte le attività svolte dalla banche in un unico contratto di lavoro (area contrattuale) ➢ dare ai lavoratori del settore la possibilità di eleggere i propri rappresentanti sindacali e di votare gli accordi per evitare che il sindacato diventi una casta separata sottoposta al ricatto delle agibilità sindacali erogate dai banchieri ➢ nessun cedimento alle pretese padronali, unire tutti i lavoratori in una unica vertenza per i contratti, banche, finanza, credito cooperativo, assicurazioni, etc. il piano del padrone è ovunque sempre lo stesso: le persone sono una merce, si compra, si usa, si vende e si butta… unire tutte le vertenze e lottare uniti. Area “Il sindacato è un’altra cosa – opposizione Cgil” della Fisac www.sindacatounaltracosa.org

lunedì 26 gennaio 2015

Quante balle sulla Grecia e il suo debito!

riceviamo e volentieri pubblichiamo un breve approfondimento sulla grecia da parte del centro internazionalista di Mestre (VE) ............................................................................... La prima cosa da chiarire è: come si è formato l'enorme debito pubblico greco? Le ragioni sono tutt'altro che misteriose, anche se poco conosciute. La prima: in Grecia grandi capitalisti e chiesa sono esentasse. Forse non tutti sanno che... gli armatori greci, proprietari della seconda flotta mercantile al mondo, godono di una pressoché totale esenzione fiscale, prevista addirittura dalla costituzione approvata nel 1975. A questo manipolo di poche centinaia di supermiliardari, va aggiunta la chiesa ortodossa, che è il più grande proprietario terriero del paese e possiede hotel, centri turistici, proprietà immobiliari, imprese, e i cui preti sono a carico dello stato. Esentasse sono poi le enormi fortune trasferite all'estero (calcolate in circa 600 miliardi di euro: quasi il doppio del debito stesso), per non parlare delle 6.575 compagnie offshore, di cui solo 34 pagano le tasse, molte delle quali sono state aiutate a frodare il fisco greco proprio dal Lussemburgo di Juncker, il presidente della Commissione europea... La seconda: le spese militari. Lo sapevate che per gli armamenti lo stato greco spende il 3,1% del Pil? In percentuale, più di Gran Bretagna e Francia, i due stati europei che più spendono in armi. Tra il 2005 e il 2009, proprio gli anni in cui è andato maggiormente lievitando il suo debito di stato prima dello scoppio della crisi, la Grecia è stata uno dei cinque maggiori importatori di armi in Europa - parola del Sipri di Stoccolma. Da chi ha acquistato aerei da combattimento (il 38% del volume delle sue importazioni)? Da "noi" comuni "cittadini"? Non esattamente. I 26 F16 li ha comprati dalla statunitense Lockheed Martin e i 25 Mirage 2000 dalla francese Dassault, con un contratto di 1,6 miliardi di euro, che ha fatto della Grecia il terzo cliente dell’industria militare francese nei primi dieci anni del secolo. La terza: le faraoniche spese per le olimpiadi del 2004, in totale si stima oltre i 20 miliardi di euro, triplicate rispetto alle previsioni (è un classico dai "grandi lavori"/grandissimi furti, che abbiamo visto con il Mose e vedremo con l'Expo). Nel 2004 l'indebitamento pubblico balza da 182 a 201 miliardi di euro e il rapporto deficit/Pil dal 3,7% al 7,5%. In questa circostanza la cattiva gestione della cosa pubblica e il sistema di corruzione e tangenti hanno avuto il suo culmine, e i legami con i capitali globali si sono fatti ancora più stretti perché molte grandi imprese europee e statunitensi ci hanno banchettato su alla grande - tra quelle made in Italy IVECO, Impregilo, Finmeccanica, Italcementi, le imprese sportive associate in Assosport, etc. La quarta: la corruzione dilagante dei più alti funzionari dello stato. Attenzione, però! La corruzione degli amministratori, che fa lievitare le spese e il debito dello stato, presuppone che ci siano dei corruttori che traggono dalle tangenti pagate dei vantaggi enormemente superiori al loro costo. Le prime della classe in questa nobile gara sono finora state le grandi imprese tedesche. Per l'affare della vendita di sottomarini Poseidon, ad esempio, la Hdv e la Ferrostaal avrebbero pagato 23,5 milioni di euro. Per assicurarsi una commessa di 170 carri armati Leopard, missili Stinger e caccia F-15, la Krauss-Maffei Wegmann, la Rhienmetall e la Atlas hanno pagato in totale ad Antonis Kantas, il numero uno del settore armamenti del ministero della difesa greco, mazzette per 3,2 milioni di euro. Quindi la Siemens, che ha ammesso il versamento di 1,3 miliardi di euro in tangenti per assicurarsi commesse e appalti alle olimpiadi del 2004, ai danni della società greca Ote. E poi la Daimler, la Deutsche Bahn... La quinta, ma non certo l'ultima per ordine di grandezza, tutt'altro!, è il pagamento degli interessi sul debito di stato, pari - solo negli ultimi anni - a 40,6 miliardi di euro, a favore degli altri stati europei, tra cui l'Italia ("non abbiamo fatto doni alla Grecia, ma prestiti", dichiarò a suo tempo Tremonti), del FMI, delle grandi banche europee. Per coprire le vere cause dell'ingigantimento del debito di stato, accentuato dalla durissima crisi dell'economia greca, sono state confezionate alcune leggende metropolitane da sfatare. Del tipo: il debito pubblico è dovuto ad un eccesso di spese sociali. In realtà la Grecia dal 1998 al 2007 (anni in cui l'economia greca è costantemente cresciuta del 4% all'anno) ha speso in spese sociali 5.400$ pro capite: meno della metà di Francia e Germania... Del tipo: “i greci” non hanno voglia di lavorare, son sempre lì a bere ouzo e ballare il sirtaki... in realtà i lavoratori greci sono al primo posto in Europa come ore lavorate annue: 2.017 ore annue di lavoro pro capite, e al terzo tra i 34 paesi dell’OCSE, dopo i lavoratori sud-coreani (2.193 ore di lavoro l’anno) e quelli cileni (2.068 ore) - dati OCSE, 2012. Anche sulle dimensioni e la portata della punizione inflitta ai lavoratori e alle lavoratrici greche sarebbe il caso di fare un po' di chiarezza, perché c'è troppo silenzio su questo, anche a sinistra e nei movimenti. Ecco solo alcuni degli effetti delle misure imposte con i referendum (i dati sono ufficiali): la disoccupazione è al 27,6%, tra i giovani sotto i 35 anni è sopra il 60%; vengono licenziati 3.800 lavoratori a settimana; tra il 2010 e il 2013 ha chiuso il 30% delle imprese; i disoccupati che ricevono sussidi sono diminuiti del 63,7%; i giovani a rischio di povertà sono il 44%; dal 2010 ad oggi la perdita di salario per chi lavora è del 38%, per i pensionati è del 45%; i redditi delle famiglie sono diminuiti del 39%; la mortalità infantile è cresciuta del 42,8%; il 20% dei bambini non ha potuto essere vaccinato; un milione di greci (su 10) non hanno più assistenza sanitaria; il 44% delle famiglie non può sostenere le spese di riscaldamento; oltre 800.000 persone sono registrate presso le Ong e i servizi caritativi della chiesa per ottenere un aiuto alimentare... dobbiamo continuare? Sacrifici pesanti, è vero, dirà qualcuno, ma la Grecia è stata aiutata con sostanziosi prestiti per far ripartire l'economia: 275 miliardi di euro dal 2010 al 2012, una bella sommetta, che se ben spesa... E invece, dove sono finiti i soldi dei prestiti (concessi "in cambio" delle privatizzazioni, delle ristrutturazioni e dei brutali tagli alla spesa sociale)? In una vera e propria partita di giro, sono finiti per quasi il 90% ai creditori internazionali dello stato greco - banche e stati europei anzitutto, FMI, BCE, proprio i pescecani che accusano i greci di essere dei fannulloni scialacquatori - e alle banche greche per coprire i loro debiti. Lo stato greco ha "visto" solo 27 miliardi di euro (il 10%)... e i lavoratori hanno ricevuto solo bastonate su bastonate. Intanto i generosi creditori internazionali della Grecia hanno ottenuto dai loro amici e sodali di Atene (Samaras&C.) di mettere in (s)vendita le imprese più appetibili: l'aeroporto di Atene, la lotteria nazionale (ambita da una società italiana), alcuni centri commerciali di prima classe, terreni, spiagge e casinò nelle isole di Rodi e Corfù, la compagnia nazionale del gas, il 35% della compagnia nazionale di raffinazione del petrolio, il 49% delle ferrovie, il 39% delle poste, etc. Ad arraffare le compagnie dell’acqua di Atene e Salonicco sono già pronte la francese Suez Environnement e l’israeliana Mekorot, ma intanto, per renderle più appetibili ancora, ecco un drastico taglio del personale e il prezzo dell'acqua che dal 2001 è triplicato, e continua a salire, salire... D'altra parte, se l'economia greca va a rotoli, è inevitabile che tutti debbano perdere qualcosa... Beh, non proprio tutti: negli ultimi due anni le 500 imprese più importanti di Grecia hanno aumentato i loro profitti del 19%, e nel corso dei primi mesi del 2013 le imprese quotate in borsa hanno registrato un aumento medio dei loro profitti del 152,6% (!). Le banche greche, rimesse a galla grazie ai fondi pubblici, in seguito hanno “divorato” una decina di banche minori. Altri monopoli, come la compagnia aerea Aegean (che ha assorbito il principale concorrente, un tempo in mani pubbliche, Olympic Air), registrano importanti profitti. Anche gli speculatori traggono i loro vantaggi dalla crisi: il tasso di interesse sui titoli di stato è passato in un anno dal 5,5% al 7,24%. È questo il punto: è ora di finirla di parlare della Grecia. Esistono in realtà due Grecie tra loro antagoniste: l'una, quella della classe attualmente al comando che (nella sostanza) condivide e mette in atto le politiche della Troika, che ha lucrato e si è arricchita con l'entrata nell'euro, e continua ad arricchirsi nella crisi; l'altra, quella delle classi lavoratrici, che ha pagato e paga un prezzo terribile per mantenere a galla e far ingrassare i responsabili della crisi, grandi capitalisti greci e globali, banchieri, generali, grandi evasori di stato, funzionari corrotti... Con le balle che la "libera" stampa e le "libere" tv raccontano sul debito greco, gli eurocrati di Bruxelles, Renzi, Merkel, Hollande e quant'altri ci vogliono arruolare nella guerra per imporre ai lavoratori greci, e tanto più agli immigrati in Grecia, altri lunghi anni di lacrime e sangue. Usciamo dal silenzio, e rispondiamogli sui denti: la resistenza e la lotta dei lavoratori greci contro le politiche di impoverimento di massa imposte dalla Troika e da Samaras&C., e per il non pagamento del debito di stato, è la nostra lotta! 18 gennaio 2015 La redazione de "il cuneo rosso" com.internazionalista@gmail.com

domenica 25 gennaio 2015

Pericolose idiozie terzomondiste

tratto da https://photostream.noblogs.org/2015/01/pericolose-idiozie-terzomondiste/ autore Iorcon ----------------------------------------------------------------------------- Pericolose idiozie terzomondiste Lasciano l’amaro in bocca le reazioni di una parte consistente del movimento, italiano e non, ai fatti parigini. Ma le posizioni assunte dall’area post-autonoma e anche da parte del movimento anarchico, sopratutto americano ma anche parte di quello europeo, sono la logica conseguenza di un’errata impostazione di base e di tatticismi di terzo rango, che rivelano il completo vuoto strategico e programmatico di certi soggetti politici. Dalla lettura degli articoli apparsi su Quartier Libres, tradotti e rilanciati in italiano da Infoaut e da Contropiano e dall’osservazione di svariati articoli apparsi su portali anarchici presenti sui social media emerge una totale incapacità di lettura della realtà. I giochi di parole in politichese dei post autonomi rivelano che i soggetti politici coagulati intorno ad Infoaut e Contropiano soffrono di sudditanza intellettuale verso un terzomondismo fuori tempo massimo e completamente dimentico delle profonde modifiche della geopolitica internazionale dalla fine del bipolarismo USA-URSS e dell’unipolarismo statunitense. E rivelano anche una totale dimenticanza, o forse una volontà di nascondere, della storia della lotta sociale e di classe in Europa negli ultimi trecento anni. Senza troppi giri di parole Infoaut afferma, con un’ardito esercizio di relativismo culturale, che la libertà di parola sarebbe una caratteristica della civiltà occidentale. Ora: al di là del fatto che la netta distinzione occidente-oriente è già stata messa in crisi da decenni di post-colonial studies e che forse certi personaggi farebbero meglio a rileggersi testi fondamentali come Orientalismo di E. Said, la libertà di parola non è un a priori della “cultura occidentale”. È una conquista sociale che si è Un fiero rappresentante dei valori della “cultura occidentale”: Roman Ungern von Sternberg. Mica Diderot. affermata tramite le due grandi rivoluzioni di fine settecento, quella americana e quella francese, tramite i moti del 1848, tramite le successive battaglie del movimento dei lavoratori e tramite l’azione di pezzi della borghesia liberale. È una libertà che è stata conquista con il sangue e che è stata difesa con il sangue dall’azione di quelle frazioni più retrive della borghesia che hanno tentata di cancellarla durante il periodo controrivoluzionaro seguente alla prima guerra mondiale e dei moti rivoluzionari della fine degli anni dieci. È una delle conquiste più importanti della lotta sociale ed è un bastione da difendere a qualsiasi costo perchè, banalmente, è quello che permette il mantenimento di spazi di manovra politici ai movimenti rivoluzionari e a tutte le voci critiche. Mettere in discussione questa gigantesca conquista dandola come valore assodato dell’occidente significa semplicemente tirarsi la zappa sui piedi e dimenticare il sacrificio di decine di migliaia di compagni. Leggere nell’articolo “Guerra sporca (di ritorno)”, apparso su Infoaut il 7 gennaio, un passaggio come “Per come l’intendiamo noi, il cuore della satira è di dar fastidio a chi comanda. Esprimersi ironicamente in una vignetta non esenta da un giudizio di valore sul messaggio veicolato. Puntare il dito contro gruppi minoritari e discriminati a causa di precise responsabilità storiche non equivale a mettere alla berlina il potere religioso e culturale egemonico nel proprio paese” da il senso si come chi ha scritto questo pezzo abbia completamente perso la bussola dell’analisi, se non il senno. Intanto chiariamo una cosa, che dovrebbe essere scontata: la satira serve a dar fastidio a tutti. Ed è quello che faceva la satira di Charlie Hebdo. Se non ne siete convinti andate a vedervi qualche video di Carlin o leggetevi il Male. Secondariamente: in Francia, come in tutta Europa, il discrimine non è tra essere musulmani o essere cristiani. È tra essere proprietari dei mezzi di produzione o tra essere degli sfruttati. È tra l’avere accesso a determinate garanzie sociali ed esservi esclusi. Se pensate che essere musulmani sia di per se’ un discrimine andate a farvi un giro nelle boutique degli Champs Elisee o nella city di Londra e fate il conto di quanti musulmanissimi rappresentati delle petromonarchie del golfo vanno e vengono senza che nessuno si sogni di discriminarli. E magari non farebbe male andarsi a rivedere il ruolo da pompieri assunto dalle moschee in tutti le rivolte delle periferie francesi (o inglesi). Magari studiatevi il ruolo avuto dall’associazionismo di stampo religioso nel cooptare fette di popolazione immigrata nei giochi politici. Tipo tutto l’associazionismo musulmano legato al PD in Italia, tanto per non andare lontano. Forse gli estensori di tali perle gauchistes si sono dimenticati di un dato che davamo per assodato già con la Prima Internazionale: la religione, le religioni, sono uno strumento di controllo del proletariato. Se ne volete ulteriore conferma chiedete ai lavoratori di Port Said o di Alessandria, repressi sia dal militarismo egiziano che dalla Fratellanza Musulmana. O chiedetelo ai Cabili, ai Kurdi di Kobane in lotta contro l’IS o ai lavoratori dei campi petroliferi irakeni e iraniani. O, per uscire dal mondo mediorientale, andate a farvi un giro in posti come l’Ohio, massacrato dalla deindustrializzazione e con la maggior presenza di milizie suprematiste cristiane. Nelle banlieus francesi sono presenti delle fette di potere in mano in modo specifico a componenti religiose, più o meno moderato. Sono quelle componenti che fanno opera di mediazione tra i bisogni che emergono dal proletariato e dal sottoproletariato e lo stato francese, ivi comprese le forme di accesso al welfare. Stiamo parlando insomma di una frazione dominata di classe dominante, ma forse questo concetto è un po’ difficile da capire per chi opera una divisione manichea del mondo tra il grande satana atlantista e il resto. Siamo di fronte, insomma, ad una declinazione della logica delirante dello “scontro di civiltà”. E ora veniamo a quei settori di movimento anarchico in preda alla sindrome del “politically correct anarchist lifestyle”. È una sindrome molto grave, compagni, ma siamo certi che con un paio di approfondite immersioni nella realtà avrete delle ottime speranze di guarigione. Intanto bisogna capire una cosa: l’antirazzismo è una questione di classe, ovvero di rapporti sociali, non di rappresentazione mediatica. Accusare un giornale come Charlie Hebdo e compagni come Cabu, Tignous e Wolinsky di razzismo è indicativo del livello di delirio e di confusione portato dalle concezioni lifestyle nel movimento anarchico. Per dirla in maniera brutale: l’antirazzismo da salotto e da borghesi bianchi pentiti non ci interessa. La Capanna dello Zio Tom è stata scritta 150 anni fa e ha fatto il suo tempo. Chi accusa la satira antireligiosa, e vorrei qua ricordare che la lotta antireligiosa è stata ed è una delle più importanti lotte portate avanti dal movimento anarchico e dai suoi compagni di strada del Libero Pensiero, di essere funzionale a un disegno neocoloniale non capisce nulla né di religione né di neocolonialismo né di questioni sociali in genere. Chi porta avanti una posizione simile è il vero portare di una visione neocoloniale che pretende di mettere gli “orientali” (sempre ammesso che questo termine abbia senso, cosa di cui dubitiamo) sotto la propria tutela. Il messaggio che viene lanciato è “poveri negretti ignoranti e minorati, ci siamo noi a difendervi, dall’alto del nostro essere moralmente buoni”. E questo significa dimenticare che sarà il proletariato ad emancipare sé stesso e non delle avanguardie morali o politiche. Significa ignorare completamente la storia delle insorgenze sociali dell’Irak post prima guerra del golfo, represse dalla frazione dominata di classe dominante filo iraniana e dal nazionalismo kurdo del partito di Barzani, lo stesso che pochi anni dopo permetterà all’esercito turco di sconfinare nel Kurdistan Irakeno per reprimere il PKK. Queste prese di posizione “anarchiche” vengono giustificate con un malinteso intersezionismo delle lotte. Ma l’intersezione delle lotte significa riconoscere il dominio ovunque esso si applica: e le religioni del libro nella loro storicizzazione, tolti casi molto particolari, sono costituzionalmente portatrici di una visione autoritaria e dominatrice. L’islam è la religione che viene usata nel mondo mediorientale per fornire una giustificazione teologica al dominio patriarcale, religioso, di classe ed etnico. Pensare di applicare l’intersezionismo fino alla palizzata del proprio cortile e non a tutte le lotte ovunque esse si svolgano è semplicemente folle. E forse si dovrebbe ragionare sul fatto che il coordinamento delle comunità autonome del Kurdistan ha dichiarato pubblicamente e in modo chiaro, netto e deciso, che i morti di Parigi sono come coloro che muoiono combattendo contro le milizie islamiste dell’IS nella difesa del Rojava. Chi ha esteso queste posizioni, quelle degli stantii leninisti italiani o degli anarchici talmente anarchici da potersi permettere di sputare sui cadaveri ancora caldi dei vignettisti di Charlie Hebdo, è un pericolo per la tenuta e l’ampliamento delle lotte sociali. Occorre fare chiarezza immediata e affermare con forza, con le parole e con i fatti, che queste posizioni non possono e non devono avere legittimità nel nostro campo. lorcon

venerdì 23 gennaio 2015

Appello alla solidarietà - Pordenone

Appello Nell’assemblea svoltasi presso l’Associazione Immigrati di Pordenone il 17 gennaio scorso, i richiedenti asilo presenti nella nostra zona hanno discusso in merito alla loro situazione e all’urgenza di una soluzione ai loro problemi. Nella nostra provincia attualmente i richiedenti asilo sono 160, e in grande maggioranza stanno ricevendo esito negativo alla loro richiesta di permesso di soggiorno. Questo significa che sono in procinto di entrare in condizione di clandestinità, non hanno alcun documento, non possono muoversi né in Italia né in Europa, non hanno soldi, possono solamente tornare al loro paese dopo essere stati salvati nel Mediterraneo. I richiedenti asilo hanno raccontato e spiegato la loro situazione, e dopo ampio dibattito hanno avanzato alcune richieste compatibili con la situazione e comunque di possibile esito positivo. Le richieste sono le seguenti e formulate in ordine di importanza: 1. rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di almeno un anno dal momento della sua erogazione a tutti i richiedenti asilo che hanno avuto risposta negativa dalla Commissione di Gorizia. Avrebbe costi molto limitati e le persone potrebbero così muoversi e cercare soluzioni di vita e lavoro qui o altrove. Sono persone fuggite da conflitti, se non da guerre e comunque da contesti di violenza e povertà; 2. richiesta all’ente che percepisce i fondi per l’accoglienza nel nostro territorio, di presentare ricorso avverso l’eventuale rifiuto, da parte della Commissione competente di Gorizia, del permesso di soggiorno ai richiedenti asilo che ne avevano fatto richiesta. Attraverso l’istituto del gratuito patrocinio, i costi non sarebbero eccessivi; 3. nel caso si negasse nuovamente un permesso di soggiorno di rifugiato o di protezione sussidiaria, si richiede in subordine che venga rilasciato almeno un permesso di soggiorno per motivi umanitari della validità minima di un anno; 4. in qualsiasi caso, si richiede di non costringere le persone attualmente ospitate in zona ad andarsene prima della fine dell’inverno, non avendo a disposizione alcun luogo dove andare. Anche la circolare del Ministero dell’Interno del 17/12/2014, prevede infatti la prosecuzione dell’emergenza (anche extra SPRAR) per tutto il 2015, equiparando di fatto i servizi di accoglienza ordinari e quelli straordinari; 5. sollecitiamo inoltre l’approvazione di una Legge Regionale sull’Immigrazione, possibilmente simile alla precedente e ottima legge 5; in tal modo, anche la Regione FVG, ormai fra le ultime in Italia, avrebbe una legislazione che preveda la possibilità di organizzare e curare la regia di tutto il sistema di accoglienza e integrazione, di concerto con il territorio. Si deve prender atto che siamo non in una fase di ennesima emergenza, ma di cambiamento epocale, in cui l’accoglienza dovrà diventare una prospettiva stabile. Invitiamo a dare solidarietà e supporto alle richieste attraverso l’adesione al presente appello e a sostenere le iniziative che verranno decise per una soluzione il più possibile rapida. La condizione attuale dei richiedenti asilo è già di per sé pesante e in tempi brevi rischia di diventare drammatica. Invitiamo perciò tutte le realtà e i singoli a trovarsi il 29 gennaio alle ore 15 davanti al palazzo della Provincia in Corso Garibaldi a Pordenone, in occasione dell’incontro di una delegazione dei migranti con il Presidente della Provincia.

Giorno della Memoria: MAI PIU' FASCISMO!

Il PNREBEL torna in piazza dopo il presidio contro le derive fasciste e xenofobe in città dello scorso 10 gennaio per ricordare Olocausto e Porrajmos e per ribadire come quella storia non è finita ed oggi ci sono ancora rigurgiti sotto quel segno d'odio e Pordenone e la regione dove abitiamo non può rimanere indifferente. - Interventi a microfono aperto + banchetto distribuzione materiale informativo - Sound System - Open Mic con RAP Live di Cicatrice, Invisibile e altri della scena pordenonese [Piccola anteprima del prossimo Block Party 2.0] Solidarietà al CSA Dordoni e a* compagni* che hanno subito l'ennesima vile azione squadrista da parte di Casapound, saremo in piazza anche per voi e per Emilio in gravissime condizioni #EmilioResisti sabato 24 ore 16 piazzetta Cavour Pordenone Vi aspettiamo numerosi* Ama la musica, odia il razzismo No Nazi in my town!

LIBRI LIBERTARI IN OFFERTA

A chi fosse interessato la redazione del blog mette in liquidazione alcuni titoli in suo possessso (vedi fra le novità editoriali e libreria sul sito di Alternativa Libertaria www.fdca.it) oppure può aderire all promozione 2copechi due titoli al prezzo di uno (15 euro) più spese di spedizione : I Figli dell'Officina I Gruppi Anarchici d'Azione Proletaria (1949-1957) + Gli anarchici di piazza Umberto. La sinistra libertaria a Bari negli anni '70 oppure Un rivoluzionario di ponente Franco Salomone: le lotte di ieri, l'alternativa di domani oppure Manifesto del Comunismo Libertario Georges Fontenis e il movimento anarchico francese contatti safigher@gmail.com

Il sindacato è un'altra cosa

Apre oggi il nuovo sito dell’area sindacatoaltracosa – opposizione cgil. Il nuovo sito conserva l’indirizzo del precedente blog aperto in occasione del congresso (www.sindacatounaltracosa.org) e su di esso confluisce interamente l’esperienza del sito della Rete28Aprile (www.rete28aprile.it), intorno al quale dal 2005 tanti di noi si sono riconosciuti e al quale in tanti ci siamo affezionati. Il vecchio sito rete28aprile.it resterà online ancora un po’ come archivio e per permettere a tutti di abituarsi al nuovo. Andando sul vecchio indirizzo si potrà facilmente essere reindirizzati sul nuovo. L’obiettivo principale del sito resta quello di sempre: costruire la nostra opposizione sindacale, fornire materiali, informazioni e notizie ma soprattutto dare voce e spazio alle esperienze dei compagni e delle compagne nei luoghi di lavoro e nei territori, per costruire una rete e mettere in relazione le lotte, le vertenze, le esperienze. Per questo, come sempre, abbiamo bisogno del contributo di tutte e tutti. Inviate le notizie a eliana.como@alice.it e carlo.carelli@cgil.lombardia.it. Con questo, salutiamo il sito della rete28aprile e il blog del congresso! Da oggi, si riparte da qui! vai al nuovo sito www.sindacatounaltracosa.org Un saluto !!! Il sindacato è un'altra cosa

martedì 20 gennaio 2015

Di nuovo vile aggressione fascista a Cremona - comunicato di solidarietà al Dordoni

Alternativa Libertaria/FdCA cremonese esprime tutta la propria solidarietà ai compagni del Centro Sociale Dordoni per l'ennesima aggressione subita da Casa Pound e al compagno Emilio vittima del brutale pestaggio che versa ancora in gravissime condizioni in ospedale. Sempre più spesso siamo a portare solidarietà ai compagni che subiscono intimidazioni e aggressioni da parte di questa organizzazione che si richiama chiaramente all'ideologia fascista. Aver dato la possibilità di aprire una loro sede a Cremona è stato un errore e chi ha permesso questo, pensando così di essere democratico, ne tiene la responsabilità. Casa Pound, che abbiamo visto sfilare con la Lega di Salvini a Milano, non è nuova a fatti del genere, non solo a Cremona ma in molte città italiane dove con troppa faciloneria si concedono spazi a organizzazioni politiche e movimenti neofascisti che fanno della violenza il loro agire. Tutto questo non è più tollerabile, chiuderemo i covi fascisti in ogni modo. Questo sarebbe compito delle istituzioni republicane nate dalla resistenza, ma a quanto pare non abbiamo nessuna garanzia. Demenziali alcuni comunicati dei politici locali, vedi PD, incapaci di esprimere concetti di solidarietà antifascista, mentre invece ringraziano le forze dell'ordine del loro operato, quelli che fanno scappare gli aggressori. Ridicoli. Solidarietà militante ai compagni del csa Dordoni e al compagno Emilio Chiudere la sede di Casa Pound a Cremona e in tutte le altre città Alternativa Libertaria / FdCA Fed. cremonese

Dal picco del petrolio al petrolio a picco?

A giugno del 2014 il prezzo al barile era di 115 dollari. Da allora è in costante discesa, ed ora costa meno della metà. Le cause sembrano essere principalmente tre: 1.l'economia mondiale sta consumando meno petrolio di quello che i mercati avevano anticipato, 2.l'OPEC ha prodotto più petrolio di quello atteso dai mercati, 3.i signori del petrolio americano (Nord Dakota e Texas) hanno puntato sullo shale-oil. Naturalmente i tre fattori si intrecciano. Scenari del petrolio basso Ottimisti Il calo del prezzo del petrolio potrebbe essere una botta di adrenalina per l'economia mondiale. Questo il refrain degli analisti dei mercati. E' stato calcolato che solo 40 dollari di meno al barile nel giugno 2014 avrebbero spostato 1,3 trilioni di dollari dai produttori ai consumatori. E' stato calcolato anche che un automobilista medio americano, che ha speso 3000 dollari nel 2013 per la benzina, potrebbe aver risparmiato 800 dollari all'anno, pari ad un aumento del 2% del suo stipendio (se ce l'ha). Anche l'Italia avrebbe potuto godere di 2mld di euro di risparmi; se la benzina "servita" alle pompe italiane fosse scesa ben sotto 1,3 al litro, una volta sgravata dalle accise). Una congiuntura favorevole -si dice- di cui potrebbero godere i paesi grandi importatori quali l'India, la Cina, il Giappone, la Turchia, il Brasile ed in qualche misura anche l'area della UE. Ad esempio le risorse finanziarie che sono bloccate nei fondi sovrani per la spesa energetica, potrebbero essere utilizzate per far crescere il PIL. Il tasso d'inflazione - già basso - potrebbe scendere ancora e quindi incoraggerebbe le banche centrali a politiche monetarie meno restrittive. La FED potrebbe quindi rimandare l'aumento dei tassi d'interesse e la BCE potrebbe combattere seriamente la deflazione comprando direttamente titoli di stato. Pessimisti C'è chi non gioisce. E' il caso dei paesi produttori di petrolio la cui ricchezza si fondava sugli alti prezzi al barile. La Russia ne sta soffrendo moltissimo con danni gravissimi alla sua economia, specialmente con quello che le costano i sussidi alla Crimea. Il petrolio copre infatti la metà dell'export russo e corrisponde al 40% del bilancio federale. Ne soffrono le importazioni: un piccolo esempio ce lo dà il previsto crollo del 12% nel 2014 dell'export italiano verso la Russia, con conseguente crisi di aziende che fino a pochi mesi fa obbligavano allo straordinario, come nel settore dell'arredamento. La Nigeria è stata costretta ad aumentare il tasso d'interesse ed a svalutare la moneta. Il Venezuela sembra più vicino che mai al default con titoli di stato svalutati e vede compromesso l'investimento in welfare che aveva giovato alle classi più povere durante il governo Chavez. L'Iran è in serie difficoltà a causa delle sanzioni internazionali e con la produzione di petrolio dimezzata. Nell'OPEC c'è grande agitazione: 7 paesi sui 12 membri sono già in sofferenza, dal momento che sotto i 100 dollari al barile i loro bilanci entrano in difficoltà. La BCE, messa di fronte al crollo del tasso d'inflazione nell'eurozona dal 3% del 2011 allo 0,3% del settembre 2014, attribuisce tale caduta al prezzo del petrolio e degli alimentari nella misura dell'80% e teme la deflazione. Ma, ironia della sorte, gli stessi produttori di shale-oil, già in difficoltà, potrebbero facilmente soccombere ad un prolungato periodo di prezzi bassi: sotto la soglia dei 50 dollari al barile le perdite sono ritenute non sostenibili. Shale-oil: dunque un pessimo affare? Una folle corsa a facili guadagni? Infatti, nel periodo che va dal 2010 al 2013, quando il prezzo era sui 110 dollari per barile, i signori del petrolio americano hanno messo mano alle estrazioni dalle formazioni di scisto (shale-oil), precedentemente ritenute inviolabili. Nella loro mania trivellatrice, già nel 2010, avevano completato 20.000 pozzi, dieci volte di più di quelli registrati in Arabia Saudita. Il che ha fatto crescere la produzione di petrolio in America di circa 1/3, pari a 9 milioni di barili al giorno. Cioè solo 1 milione di barili in meno dell'Arabia Saudita. Ma la caduta del prezzo al barile sta portando ad un rapido deprezzamento delle loro azioni, mentre salgono vertiginosamente i loro debiti. Prima ancora che il prezzo del petrolio scendesse, queste compagnie investivano nella trivellazione di nuovi pozzi più di quello che ricavavano dai pozzi esistenti. Ora che i loro guadagni stanno calando precipitosamente, si profila all'orizzonte il rischio bancarotta e lo scoppio di un'altra bolla di derivati. Lo shale-oil potrebbe non essere più un business che attira investimenti. Ed un decremento degli investimenti (-20% se il prezzo ruota intorno ai 65-70 dollari al barile) -alla luce anche della breve vita produttiva dei pozzi di shale-oil, che possono perdere il 60-70% nel primo anno- porterebbe ad un crollo della produzione. La salvezza nella tecnologia? Tuttavia l'industria estrattiva di shale-oil sembra poter contare su un futuro sicuro. La tecnologia del fracking [acqua+sabbia+prodotti chimici iniettati nelle rocce scistose] è relativamente giovane e sta producendo grossi guadagni man mano che viene perfezionata: nel 2013 i costi di estrazione sono passati da 70 dollari per barile prodotto a 57 dollari. In America si sta iniziando a trivellare in Colorado (la formazione Niobrara) e al confine tra Oklahoma e Kansas (formazione Mississippi Lime). La geologia dello shale-oil è nota in molti posti del pianeta, dalla Cina (che nonostante ostacoli di carattere geologico e tecnologico potrebbe nel 2015 già produrne 6,5 miliardi di m3) alla Repubblica Ceca. Laddove mancano le condizioni infrastrutturali potrebbero giungere investimenti finalizzati all'esplorazione. Investimenti che sembrano crescere, anche se di poco a fronte, della inaccessibilità dei giacimenti di greggio non ancora sfruttati poiché situati a grandi profondità marine, oppure nell'Artico. Ad esempio, la joint-venture Exxon (USA) e Rosneft (Russia) ha impiegato 2 mesi e 700 milioni di dollari per trivellare un solo pozzo di greggio nel Mar di Kara a nord della Siberia. Il petrolio lo hanno trovato, ma ci vorranno anni e miliardi di dollari per la produzione. Invece un pozzo di shale-oil viene trivellato in genere in una settimana al costo di un milione e mezzo di dollari. I siti di shale-oil sono noti. Pare che sia solo una questione di quanti trivellarne a seconda della sete di petrolio. E nel 2015 il fabbisogno mondiale di energia dovrebbe crescere del 3%, portando la domanda di greggio ad un +2%, pari a 94 milioni di b/g. Mentre il prezzo del Brent dovrebbe essere in media di 98 dollari al barile. L'Arabia Saudita Il confronto tra i signori dello shale-oil e gli sceicchi del greggio (ma c'è chi pensa ad una occulta strategia combinata in chiave anti-russa ed anti-Iran) ha per ora capovolto lo scenario: da una carenza di petrolio si è passati ad un surplus di oro nero. Ora molto sembra dipendere dal fattore tempo, cioè per quanto tempo i prezzi resteranno bassi. Sebbene molti paesi membri dell'OPEC - che produce il 30% dell'offerta mondiale di petrolio - vogliano tagliare la produzione per far risalire i prezzi, l'Arabia Saudita sta perseguendo un'altra strategia. Memore di quando negli anni '70 un grosso balzo del prezzo del petrolio portò a massicci investimenti nella apertura di nuovi pozzi negli anni '80 (fu il caso della Norvegia e del Regno Unito nel Mar del Nord) a cui seguì un lungo decennio di eccesso di offerta, ora l'Arabia Saudita punterebbe a far cadere il prezzo al barile, tenendolo sotto i 70 dollari, per far fuori dal mercato chi produce petrolio ad alti costi, con la attesa conseguenza di una compressione dell'offerta, facendo così risalire i prezzi. La strategia dell'Arabia Saudita sembra produrre già effetti sulle compagnie che producono shale-oil, come abbiamo già visto. L'Arabia Saudita - che ha dichiarato di potersi permettere di tollerare prezzi bassi (il suo costo di produzione è di 5-6 dollari al barile!!) solo per fare alle finanze delle compagnie dello shale-oil quello che loro fanno alle rocce col fracking - punta dunque al crollo dell'industria dello shale-oil entro il 2015 e a bloccarne l'espansione in altri paesi. E con la famiglia reale saudita tutto il cartello dell'OPEC. Ma - a differenza degli altri paesi OPEC - l'Arabia Saudita, forte di riserve pari a 900 miliardi di dollari, può gestire un prezzo basso ed attendersi che il mondo compri il suo petrolio, una volta che produrre shale-oil diventi non conveniente, con conseguente lieve risalita del prezzo al barile. Cosa che farebbe finalmente felici gli altri paesi OPEC, ma che paradossalmente potrebbe ridare fiato proprio ai signori dello shale-oil. Sebbene l'aumento di 3 milioni di barili al giorno negli USA, sia ben poca cosa su un consumo mondiale di 90 milioni di barili al giorno, la sfida (tecnologica e finanziaria) sembra ormai lanciata e non è detto che finisca per forza con un perdente. Il capitalismo, come è noto, non conosce frontiere e fare profitti è lecito, qualunque sia il profeta a cui rivolgere le orazioni. Ambiente e salari Va da sé che un prolungato periodo (tutto il 2015?) di prezzi bassi renderebbe ben poco interessanti gli investimenti sulle energie verdi e sulle tecnologie alternative nei mezzi di trasporto, ridando fiato ai sostenitori dei carburanti fossili. Ancora una volta le preoccupazioni e le denunce per lo stato di salute del pianeta a causa dei cambiamenti climatici indotti dalle emissioni potrebbero perdere il grande spazio mediatico che si erano conquistato recentemente e vedere frustrate le speranze suscitate dalle mobilitazioni sociali che - al riguardo - hanno attraversato ben 166 paesi per la People's Climate Change March. Più controversa la questione sul versante salari. Il risparmio attribuibile al calo del prezzo dei carburanti e dei prodotti derivati dall'industria del petrolio non è in grado di dare alla domanda aggregata quel respiro che forse i mercati si attendono, auspicando una crescita dei consumi e dei servizi e quindi della produzione. In una situazione di contrazione delle retribuzioni dovuta alle generalizzate politiche di austerity (decurtazioni dei salari e delle pensioni, blocco dei contratti, precarizzazione del lavoro e discontinuità salariale, licenziamenti e rappresaglie antisindacali) a livello mondiale, il risparmio sulla bolletta energetica non muta le condizioni di sfruttamento e di immiserimento della classe lavoratrice mondiale. I fortuiti regali offerti dal petrolio basso non devono e non possono farci dimenticare la necessità di grandi lotte sindacali e di organizzarsi sindacalmente per il miglioramento delle condizioni salariali e di vita dei proletari, dei lavoratori e delle lavoratrici di tutto il mondo. (Fonti: report della Deutsche Bank, "The Economist" di novembre, dicembre 2014 e gennaio 2015, www.bloomberg.com, www.vineyardsaker.it, www.contropiano.it, www.corriere.it, ecc ....)

Roma seminario sui trattati transatlantici detti TTIP

Per chi volesse visionarlo c'è in streaming il seminario sul ttip di Roma, registrato, al seguente indirizzo.

Le elezioni in Grecia fanno paura all'Unione Europea?

Le elezioni ed i parlamenti come è noto non sono -per il loro carattere interclassista- strumenti in grado di rappresentare gli interessi della classe lavoratrice e degli sfruttati. E se mai si dovesse paventare che l'esito delle urne possa spostare un po' gli equilibri politici a sfavore degli interessi capitalistici internazionali o di quel singolo Stato, può persino accadere che le elezioni diventino un pericoloso momento di partecipazione e di democrazia da scongiurare. E' ciò che sembra stia accadendo per la scadenza elettorale in Grecia. Nella vicenda elettorale greca, infatti, con la possibilità che Syriza, formazione eterogenea della sinistra greca guidata da Alexis Tsipras, possa vincere le elezioni per il parlamento di Atene, stanno emergendo e si rendono trasparenti i fattori del dominio capitalistico. Il 25 gennaio, data delle elezioni politiche in Grecia, potrebbe assumere un'importanza emblematica per i popoli europei sottoposti alla dittatura del mercato finanziario. Non è una scoperta recente che il grande capitale sia l’artefice della formazione dei gruppi dirigenti in tutti i paesi di Europa, tuttavia stavolta la piccola forza della sinistra greca sembra aver colpito nel segno con il suo apparentemente pur minimo programma elettorale. Chiedere di rinegoziare il debito all'interno delle rigidità finanziarie della UE assume una radicale prospettiva storica, quella di fermare il saccheggio delle società del debito da parte del grande capitale. Sono proposte che aprono contraddizioni nei fattori di dominio del capitale stesso. Ricontrattare il debito pubblico significa, infatti, rendere palese la grande manovra internazionale della ristrutturazione dei debiti privati, gestiti dal sistema finanziario e industriale e riversati abilmente dalla cricca al potere sui deficit pubblici, impossibili da ridimensionare e per questo strozzati dai calcoli contabili della finanza mondiale. Che il potere reale risieda nei portafogli dei grandi gruppi finanziari non è cosa nuova, è inedito invece l'attacco esplicito e preventivo come quello scatenato contro Syriza dai dittatori del libero mercato. Per l'UE, la pur limitata democrazia parlamentare può diventare addirittura nemica del processo di ristrutturazione in atto ed accusando gli “estremisti” di questa sinistra greca di ribellione alle scelte dei banchieri e della alta finanza, infligge ad un intero popolo il ricatto del rifinanziamento del debito. Così come accadde quando nel 2011 il governo greco dovette annullare il referendum sul piano di salvataggio della Troika. JP Morgan alcuni anni fa aveva avvisato l’Europa: le Costituzioni europee nate dalla Resistenza e dal contratto sociale che si era imposto in tanti paesi dell’Europa non erano più tollerabili, ostacolavano nei fatti l’espansione del capitale. Bisognava dunque cercare di impedire agli sfruttati ed ai ceti meno abbienti -quelli che la cosiddetta crisi la devono pagare- di poter rivendicare le loro scelte politiche. Lo si è fatto e lo si sta facendo con due mosse: con la repressione quotidiana in tutta Europa della capacità autonoma di opposizione e delle lotte per la giustizia sociale da un lato e con la disincentivazione alla partecipazione alle scelte politiche dall'altro. Chi invece va blaterando di uscita dall’euro come se questo fosse un toccasana, si dimostra essere un inquinatore di coscienze, scambia gli effetti con le cause del disastro sociale, non coglie i meccanismi del dominio, fa esattamente il gioco dei poteri forti della UE, le destre europee che, da quella francese in poi stanno infatti utilizzando la battaglia contro il “diabolico Euro” per riaffermare un dominio di classe interno ai propri confini, pensando che tutti si siano dimenticati di come erano le condizioni dei lavoratori e dei ceti popolari rinchiusi nei secolari confini di asfissianti patrie. La vicenda greca mette in evidenza anche il mutamento di rapporto tra democrazia, rappresentanza e costruzione di coalizioni politiche che si è alimentato di una certa partecipazione diretta dei protagonisti. I durissimi anni di lotte e di opposizione sociale alle politiche della BCE e del fondo salva-stati hanno determinato posizioni chiare sulle lotte e sulle risultanti politiche, che ora si esprimono in parte anche con la anomalia Syriza. Noi come comunisti anarchici e libertari che non abbiamo passione alcuna per le elezioni, non possiamo tuttavia ignorare quanto sta accadendo e distinguere tra le elezioni in quanto strumento di consenso e la libertà di associarsi politicamente. L'attacco a Syriza è oggi un attacco alle condizioni di vita di milioni di persone che non necessariamente sono rinchiuse nei confini dello Stato di Atene. L’attacco al diritto di associazione e di coalizione, alla partecipazione attraverso la democrazia, anche quella elettorale, sferrato dalla dittatura del mercato finanziario non ci può lasciare indifferenti. Un tempo si diceva che se con le democrazie parlamentari si fosse cambiato il mondo queste sarebbero state abolite, ebbene oggi il dominio della finanza internazionale non abolirà il simulacro della democrazia parlamentare, ma non permetterà che attraverso di essa si possano organizzare forze della sinistra solidale e di classe. Il ricatto del rifinanziamento del debito oggi si è sostituito allegramente al colpo di Stato militare e fascista di alcuni decenni fa. Alternativa Libertaria/Fdca gennaio 2015

solidarietà da Genova - comunicato della Sezione Nino Malara Genova A lternativa Libertaria/FdC A

Aggressione fascista al CS A Dordoni di Cremona Alternativa Libertaria/FdC A - sezione Nino Malara di Genova esprime tutta la propria solidarietà e vicinanza ai compagni del Centro Sociale Dordoni per la vile aggressione subita da parte dei fascisti di Casa Pound. A l compagno Emilio, ora in coma farmacologico, esprimiamo oltre alla solidarietà la promessa di impedire che quanto capitato a lui possa capitare ad altri. Ti aspettiamo nuovamente in forma e accanto nelle nostre lotte Emilio! E’ con ferma condanna e rammarico che ultimamente assistiamo troppo di frequente ad episodi che pensavamo non potessero riproporsi mai più. E’ evidente come quanto stia avvenendo vada di pari passo con una fase storica che vede la perdita di numerosi diritti in ambito lavorativo, sociale e sanitario e, decisamente preoccupante e significativo, lo smantellamento della scuola pubblica con la conseguente impossibilità di offrire una istruzione laica e il più possibile ampia . Tale situazione è terreno fertile per il fermentare di rigurgiti fascisti che trovano, in determinati contesti, l’ambiente idoneo per il reclutamento e lo sviluppo della loro esistenza. E’ ferma intenzione impedire che tali semi germoglino ulteriormente e ci impegneremo affinché vengano sradicati in profondità . Questo è il nostro impegno e la promessa nei confronti di chiunque, insieme ad Emilio, sia stato vittima di questi infami. Le sedi di Casa Pound sono unicamente dimora per la violenza, l’ignoranza e la paura di chi SI VUOLE CREDERE diverso dallo stereotipo distorto di una presunta normalità! Non solo dovrebbero essere chiusi quelli esistenti ma M A I PIU ’ dovrebbero sorgere ulteriori spazi dove possano germogliare le nere idee. Non ci stupisce che ad ogni evento similare, tali soggetti, trovino protezione da parte di forze dell’ordine asservite ad un regime che non teme nemmeno più d’essere riconosciuto quale tale. A lternativa Libertaria/FdC A Sezione Nino Malara Genova

La strage della redazione di Charlie Hebdo e le contraddizioni del sistema internazionale di fronte alla rivoluzione della Rojava

La barbarie commessa il 7 gennaio 2015 contro i giornalisti e fumettisti della pubblicazione francese Charlie Hebdo mostra quanto la presenza di Daesh (Stato islamico, IS o ISIL) sia dannosa per essere tollerata come parte negoziale persino all'interno della crudeltà del Sistema internazionale. In questo breve articolo presento alcune contraddizioni dei membri della NATO sulla scena mondiale nel conflitto. Estendo le mie osservazioni critiche alla copertura mediatica internazionale, concentrandomi sul network della CNN, purtroppo la TV che meglio copre il pianeta. Per disinformare sulla Rojava, sul PYD e sul TEV-Dem, i media di potere operano come portavoce non ufficiali per l'amministrazione Obama e per la sua doppiezza politica nella regione. Stéphanne Charbonnier, noto come Charb, ha pubblicato un articolo in cui sostiene che i Curdi ci rappresentano contro il fondamentalismo ed i regimi totalitari - alleati dell'Occidente o meno - nella regione più tormentata del pianeta. Contraddizione 1) Il costo della presenza dei jihadisti internazionali, molti dei quali reclutati su Internet, si materializza come demenza continua. Giovani delle incandescenti periferie di Parigi sono rapiti dalla follia di Daesh come prima lo erano da Al-Qaeda. Pertanto, la destra francese, quella stessa che ha sostenuto il vergognoso regime di Vichy (che aveva fornito il supporto per l'occupazione nazista), reitera i suoi discorsi omofobi e razzisti intrisi di fondamentalismo cattolico. Del resto anche il Partito Socialista francese e il suo momentaneo alleato PCF, quegli stessi partiti che erano nel Fronte Popolare degli anni '30 e che chiusero all'epoca le frontiere ai libertari spagnoli per poi metterli nei campi di concentramento, si trovano oggi ad affrontare il mostro. Anche se sono mutati i tempi ed i contesti, sono d'accordo con l'antropologo inglese David Graeber , sia nella comparazione dei processi, sia nel rilevare il doppio gioco delle democrazie liberali, allora di fronte al fantasma del fascismo con Franco ed ora in Siria con Daesh. Contro il fascismo, compreso quello religioso, solo il pensiero e l'azione dei libertari possono offrire delle soluzioni. In questo caso, l'unica vera speranza contro il fondamentalismo è l'autonomia e l'indipendenza della Rojava Contraddizione 2) La libertà di espressione, di comunicazione e di informazione costituisce un insieme di beni e valori non negoziabili. I media ipocriti dell'Occidente hanno chiuso gli occhi quando il governo di Recep Erdogan (leader islamista e al tempo stesso del filo-occidentale AKP) ha arrestato più di 20 giornalisti di un giornale di opposizione (la pubblicazione Zaman), ed esegue la stessa procedura contro le stampa collegata con la sinistra curda. Sembra che nulla stia accadendo al confine turco, ma non è così. Gli alleati di Erdogan lasciano la Siria ed entrano nell'Unione Europea tramite la stessa Turchia, corridoio di passaggio dei fondamentalisti. Due di questi dementi sono ritornati in Francia sotto la barba di un paese membro della NATO per portarvi il flusso del jihadismo sunnita. L'Iran si è dichiarato contro l'attacco, ma non fa nulla con i suoi alleati - il governo Assad ed Hezbollah - lasciando che il regime di Damasco si rafforzi, non attaccando Daesh, anzi lasciando che questo gruppo totalitario porti la guerra contro la Rojava. Contraddizione 3) Siamo al cospetto della logica della geopolitica che dà il peggio della sua crudeltà. La Francia è intervenuta con atteggiamento imperialista nel Mali (ottobre 2012), affermando di essere lì per evitare che una frazione di Al-Qaeda spaccase il paese in due. Inoltre, sempre la Francia ha preso parte agli attacchi aerei della coalizione contro le postazioni Daesh in Siria e in Iraq. Allo stesso tempo, non fa nulla affinchè la Casa Bianca tolga il marchio di terrorista al PKK ed ai partiti alleati. E 'ovvio che la redazione di Charlie Hebdo appoggiava il Kurdistan ed il suo percorso libertario. Ed ha pagato il prezzo per l'ipocrita tolleranza dell'Occidente verso la politica assurda della Turchia nella lotta contro la sinistra curda. Contraddizione 4) Mentre i fondamentalisti commettono barbarie contro i giornalisti francesi, lo Stato turco, un membro della NATO, commette crimini di terrorismo di stato sostenendo che il PKK è un gruppo terroristico. Il governo di Erdogan ed i suoi generali kemalisti sostengono Daesh e il Fronte Al-Nusra in barba agli USA, eppure non succede nulla. Curiosa contraddizione. L'ONU denuncia la mancanza di sostegno umanitario e che le missioni USA non diano conto del volume di aiuti umanitari per le aree sotto il controllo delle varie fazioni non allineate con il blocco composto dal governo di Assad+ Hezbollah e Iran, con il sostegno della Russia. Molti di questi problemi potrebbero essere risolti se la Turchia chiudesse letteralmente il confine alla libera circolazione dello Stato Islamico (che io preferisco chiamare Daesh) e del Fronte Al-Nusra e, allo stesso tempo, permettesse il flusso di beni e di aiuti per il Territorio Libero della Rojava. Semplice no, considerando che lo Stato turco è un membro a pieno titolo della NATO, quindi sarebbe passibile di pressioni occidentali, giusto? L'unica via d'uscita è il protagonismo delle persone tramite la democrazia partecipativa curda. Più gli sceicchi sauditi, yemeniti, del Bahrein, dell'Oman & co. inviano denaro a Daesh ed agli affiliati di al-Qaeda, più donne combattenti vanno a difendere i loro diritti fondamentali con tutti i mezzi necessari. Avanzano le forze delle YPG / YPJ. Kobanê sarà liberata senza la presenza di truppe occidentali e nonostante tutto il sabotaggio della Turchia. Di fronte al comune nemico - le forze curde ed universali con valori socialisti e democratici - il fondamentalismo sunnita e sciita si alleano. Pare proprio che il mondo arabo e islamico proverà finalmente la lotta tra jihadisti e socialisti. E' dalla Prima Intifada non si vedono così tante possibilità di una nuova società nella regione. Questa volta credo che quest'ultimo attacco porterà quello che rimane della sinistra occidentale a rendersi conto che il fronte della Rojava è l'unica via d'uscita per un modello di società nella regione. Ma questo modello di società è minacciato dal possibile intervento dei poteri che fanno parte della NATO e che hanno interessi strategici nel tenere i prezzi del petrolio più bassi, quindi, non interromperanno un rapporto di fiducia con gli oscurantisti stati monarchici della Lega Araba. I tempi sono maturi per fare salire la pressione nelle società occidentali, come pure in quelle periferiche, come ad esempio l'America Latina Nessuno vuole cambiare la messa a fuoco e si continua a nascondere l'ovvio. La Turchia continua a facilitare l'ingresso e la libera circolazione dei criminali dell'ISIS. La coalizione guidata dagli Stati Uniti è fatta di solo carta. Tutti i regimi islamici - duri o moderati - stanno favorendo lo jihadismo. Né l'Iran fa nulla e non ne ha la volontà. L'unica via d'uscita per la Rojava è la solidarietà internazionale per costringere la Turchia ad almeno consentire la consegna di aiuti umanitari ed a fermare i fanatici dementi che amano tagliare le teste agli "infedeli". Quanto più informiamo sul processo di liberazione del Kurdistan, più siamo animati ed impegnati nel nostro compito. Bruno Lima Rocha (traduzione a cura di Alternativa Libertaria/FdCA -Ufficio Relazioni Internazionali)

domenica 18 gennaio 2015

No al fascismo, nazionalista o religioso che sia

Noi condanniamo le uccisioni pepetrate il 7 gennaio nei locali della rivista Charlie Hebdo. Niente permette di giustificare un tale crimine fascista. Non lo sono di meno la cattura di ostaggi e le uccisioni antisemite che si sono verificate in un negozio di alimentari kasher venerdì 10 gennaio. Condanniamo anche le aggressioni fasciste rivolte contro luoghi di culto musulmani o contro persone musulmane o designate come tali. vedi link sul sito di Paris Luttes Infos : http://paris-luttes.info/deferlante-raciste-et-islamoph...-2397). Questi attacchi si inscrivono in una crescita generale del fascismo, di quel fascismo che avanza dietro lo slogan della "difesa della nazione", di quello che vuole una "civiltà" essenzializzata [1], o di quello di matrice religiosa qualunque sia. Certo gli esponenti di tali fascismi concordano tra loro ideologicamente, ognuno cercando di mobilitare i propri adepti poter finanziare il loro progetto: quello del mito essenzialista dello "scontro di civiltà" con le sue conseguenze sanguinose per le classi lavoratrici. Attentati strumentali al sistema razzista Se, con la pretesa di fare dell'umorismo, Charlie Hebdo ha riprodotto stereotipi razzisti e ha partecipato alla stigmatizzazione della minoranza musulmana, pur scagionandosi da qualsiasi intento razzista, questa constatazione non deve farci perdere di vista l'essenziale: prendere come bersaglio un giornale identificato / etichettato come "di sinistra", significa voler sviluppare l'islamofobia nella sinistra e distruggere le ultime forme di solidarietà anti-razzista che esistono con la minoranza nazionale musulmana. E così aprire la strada a una nuova ondata razzista, i cui recenti attacchi islamofobici sono i primi passi. A livello internazionale, vuol dire anche voler mettere a tacere qualsiasi critica all'ideologia religiosa, in nome della "blasfemia", in una strategia di intimidazione e di uccisione di giornalisti ad opera dei cosiddeti takfiri [2], come in Tunisia e in Turchia . L'attacco antisemita, nel frattempo, si inserisce in una visione razzista del mondo portata avanti dall'ideologia takfiri, ma anche nella lunga storia dell'antisemitismo europeo diffuso dal potere coloniale nelle colonie francesi, all'interno della logica del "divide et impera", opponendo tra di loro ebrei e musulmani per preservare il potere coloniale. (Si veda il comunicato federale del CGA sul tema: www.cga.org/content/contre-lantisemitisme-autodefense-antifasciste-et-luttes-populaires). Lo scopo di questi atti in Europa è anche quello di innescare un'ondata di islamofobia, spingere la minoranza musulmana nel fascismo religioso che si presenta come il suo protettore, mentre contribuisce al contrario al rafforzamento del sistema razzista. Nei paesi a maggioranza musulmana, dove costoro possono permettersi di presentarsi nelle vesti di oppositori dell'imperialismo, e dove i takfiri agiscono nella repressione del movimento operaio, le loro vittime sono in maggior parte musulmani. Convergenze di correnti fasciste Il fascismo di tendenza nazionalista, nel frattempo, partecipa alla stessa dinamica: per presentarsi come protettore della "nazione", dell' "occidente bianco e cristiano" cavalcando l'onda degli attentati e moltiplicando da par suo gli attacchi di islamofobia per accentuare la frattura tra musulmani e non musulmani, e quindi portare l'assalto al potere. Per quanto apparentemente opposte, queste due correnti del fascismo perseguono invece lo stesso progetto politico: diffondere il razzismo, il sessismo, l'omofobia, la lesbofobia, la transfobia, la repressione anti-operaia, la guerra del "tutti contro tutti", la sottomissione all'ordine dominante. I fascisti religiosi takfiri, come i nazionalisti francesi o europei, chiedono di essere scelti come versioni alternative gli uni agli altri, ma in realtà sono due versioni convergenti del fascismo. Questa ascesa del fascismo nelle sue varie forme è una manna dal cielo per la borghesia, poichè sostituisce lo scontro di classe, la messa in discussione del sistema capitalistico, imperialista, razzista e patriarcale, per scatenare la guerra di "tutti contro tutti". L'impasse della sacra unione Lo Stato, nel frattempo, e quasi tutte le formazioni politiche borghesi, hanno chiamato il popolo all'unità nazionale: il "popolo" che si prende per mano, gli sfruttati con gli sfruttatori, gli oppressi con gli oppressori contro gli nemico comune, per lo scontro di civiltà. E 'anche probabile che le nuove misure di sicurezza vengano prese in nome della lotta contro il terrorismo, approfittando dello shock emotivo, pur di limitare di nuovo le nostre libertà e aumentare la repressione della protesta popolare. Per un'alternativa: per l'unità popolare! Di fronte a tutto questo, ci rifiutiamo di essere incastrati nel fuoco incrociato tra il patriottismo da un lato e i fascisti dall'altra, siano nazionalisti o religiosi, che stanno cercando di reclutare la maggioranza nazionale e le minoranze nazionali. Rifiutiamo le due facce della stessa medaglia: il nazionalismo e il suo progetto imperialista e razzista così come il fascismo religioso. Per sviluppare invece la solidarietà popolare anti-razzista e la lotta contro i nostri sfruttatori, come parte del movimento operaio rivoluzionario internazionale. Prendiamo esempio dalla resistenza curda a Kobanê, ma anche dai rivoluzionari, in Siria o altrove, che hanno dimostrato il modo per spezzare questo circolo vizioso, nella lotta contro l'imperialismo e contro i fascisti religiosi. Groupe de Lyon de la Coordination des Groupes Anarchistes (traduzione a cura di Alternativa Libertaria/FdCA - Ufficio Relazioni Internazionali) Note: [1] Ridurre un individuo ad una sola entità, ad una sola delle sue dimensioni. [2] Il takfirismo è una corrente politico-religiosa violenta che difende un'interpretazione letterale e reazionaria della religione musulmana e ritiene che tutte le persone che si oppongono alla loro idelogia, comprese anche persone musulmane, siano da considerare come obiettivi da colpire militarmente. E' una corrente fascista della religione musulmana.

giovedì 15 gennaio 2015

dal "Fattoquotidiano.it" Charlie Hebdo: la nostra satira è una barzelletta rovesciata - di Ascanio Celestini

scritto di asconio celestini apparso sul FattoQuotidiano.it C’è una barzelletta di qualche anno fa che aveva per protagonisti tre politici famosi. Saddam Hussein va da Dio e chiede “come sarà l’Iraq tra 5 anni”. E Dio “distrutto dalle bombe americane” e Saddam piange disperato. Anche Bush va da Dio e chiede “come saranno gli Stati Uniti tra 5 anni?”. E Dio “distrutto dagli attentati degli islamisti” e il presidente americano piange disperato. Infine Berlusconi va da Dio e chiede “come sarà l’Italia tra cinque anni” e Dio piange disperato. Raccontata tenendosi a distanza dal terrorismo e dalla cosiddetta esportazione della democrazia possiamo sentirci al sicuro e ridere. Ma proviamo a immaginare se alla grande manifestazione di Parigi dell’11 gennaio, all’indomani degli attentati, avesse partecipato proprio l’ex premier Silvio Berlusconi, che ha sempre manifestato la sua passione per le barzellette, e avesse raccontato questa storiella sostituendo Bush con Hollande, Saddam con il califfo dell’Isis e se stesso con Renzi per prenderlo in giro. Il meccanismo sarebbe stato lo stesso, ma non l’effetto comico. Spesso nelle barzellette accade ciò che vediamo nelle vecchie comiche: ridiamo per l’uomo grasso che scivola sulla buccia di banana, ma se quell’uomo siamo noi non ci troviamo niente da ridere. Ci ho pensato vedendo il video di presentazione del primo numero di Charlie Hebdo dopo i morti del 7 gennaio. Luz parla della copertina che ha disegnato. Dice di aver pianto mentre la componeva e poi piange di nuovo alla conferenza stampa. Mi sono venuti in mente quei commentatori e quei politici che sminuiscono la satira che li deride dicendo “a me non fa ridere”. E infatti non serve a far ridere una vignetta di Wolinski o di Vauro come non faceva ridere la Modesta Proposta di Swift. Un certo modo di utilizzare la satira nella letteratura, nel teatro, nel cinema, nella pittura… (da Beckett a Buñuel, da Kafka a Dalì,…) risiede nella capacità di rivoltare il tavolo attorno al quale siedono giocatori di carte apparentemente pacifici e mostrare che sotto sono appuntati i coltelli. La genialità di vestire il re con abiti invisibili per mostrarlo nudo al popolo. E anche la forza di porsi dalla parte dei deboli. Non per denunciare soprusi, perché le inchieste sono compito dei giornalisti. Le denunce non si fanno in letteratura, ma in questura. E le condanne sono roba per i giudici. Attraverso la satira si mostra uno sguardo rovesciato sul mondo e sul linguaggio attraverso il quale cerchiamo di dirlo. La scrittura si serve dello sguardo satirico per dire che l’essere umano è debole e per stare dalla parte degli umani bisogna scegliere la debolezza, bisogna ridere rovesciando le barzellette. I forti sono quelli che uccidono. Loro (con il Kalashnikov o con i bombardamenti chirurgici) sono disumani. Noi siamo umani, perciò disarmati. La nostra satira è una barzelletta rovesciata. Ridiamo del fantasma formaggino, ma non siamo Pierino. Siamo il fantasma spalmato sul panino.

lunedì 12 gennaio 2015

Anche noi siamo Charlie, no al fascismo islamico ed a chi lo finanzia, no a chi costruisce un futuro di odio

Anche noi siamo Charlie, ma a modo nostro. Difendiamo come anarchici e libertari il diritto alla satira ed all’irriverenza di qualsiasi presupposta verità religiosa, rivendichiamo il diritto di tutti a professare la propria fede religiosa od il proprio ateismo in pieno giorno e senza paure, rifiutiamo di ammantarci di un relativismo scadente che serve solamente a celare il colonialismo e la pretesa superiorità europea della cultura e soprattutto delle armi, lottiamo in tutto il mondo per affermare dignità e diritti delle classi oppresse, al di là dell’appartenenza etnica e religiosa. Siamo Charlie e non accettiamo che in nome della libertà le religioni riprendano il loro ruolo mortifero nella società. Non potremo mai allearci con fascisti ed imperialisti, con razzisti e mestatori di coscienze. Noi abbiamo il coraggio di affermare che i diritti siano universali, di tutti e per tutti, e nella nostra lotta anticapitalista non saremo mai al fianco di fascisti e nazionalisti di ogni risma, islamici od ebrei, cattolici od ortodossi. Troppe sono le crepe prodotte dall’imperialismo del capitale per l’egemonia per farci trascinare da una parte o dall’altra. Il nostro compito, come sempre, è quello di stare dalla nostra parte e di combattere per la nostra classe di appartenenza, che non ha religione nè nazione. Denunciamo quindi ogni fascismo, anche quello islamico, ma non dimentichiamo il cinismo con il quale si è armata la mano degli assassini dei redattori di Charlie Hebdo, assassini che sono all’opera nei territori curdi, a Kobane, armati dall’Occidente liberale e dagli Stati del Golfo come dalla Turchia, oppure nelle guerre che hanno distrutto l’Afghanistan e l’Iraq, alla mai volutamente risolta questione palestinese, alla distruzione della Siria e della Libia, alla fame imposta in Somalia, in Nigeria, in Mali, in Ciad, al ruolo controrivoluzionario avuto nelle cosiddette rivolte arabe. Intere aree del pianeta sono distrutte e cacciate in un caos sistemico utile solo al grande capitale. I paesi europei, gli USA ed i paesi periferici dell’area medio orientale, in primis l’Arabia Saudita, da quaranta anni finanziano il fascismo islamico, addestrano i militari e favoriscono la guerra contro le componenti laiche e socialiste impedendo il contributo alla ricostruzione sociale basata su diritti universali, propinandoci il loro relativismo culturale pur di non riconoscere tali diritti. Quanto accaduto pone una seria ipoteca alle lotte sociali in corso in tutta Europa. L’etnicizzazione dei fenomeni sociali e sindacali subirà un ulteriore incremento. I proletari islamici d'Europa e i migranti che tentano a costo della propria vita di scappare magari proprio dai fondamentalismi saranno le vittime più colpite da quanto è successo. Intere generazioni di lavoratori e lavoratrici, di studenti, di uomini e donne che cercano come noi di costruire una vita migliore e più libera, saranno inchiodati alle proprie origini etniche e culturali, vissuti come nemici e guardati con sospetto dai propri vicini di casa, dagli insegnanti dei propri figli, dai propri compagni di lavoro. E invece le lotte future avranno bisogno di tutti. Occorrre evitare ogni etnicizzazione dei conflitti, è indispensabile ricostruire il fronte di classe fuori da paradigmi religiosi ed etnici, dovremo compiere uno sforzo mostruoso per evitare che si scateni in termini drammatici la lotta tra poveri. Tutto è predisposto per spostare milioni di europei su posizioni reazionarie con grande gioia del capitale, la crisi ed i fenomeni di ristrutturazione in atto sono mine disseminate in una società troppo liquida. Noi continueremo la nostra lotta internazionalista a difesa degli interessi della nostra classe, per una società che vogliamo comunista e libertaria, laica, dove la religione sia racchiusa nell’intimità di ogni individuo che abbia fede e che non diventi il motivo trainante delle nefandezze odierne e future, combatteremo sempre la religione come marchio identitario, a conferma che la libertà passa per una società laica e plurale. Alternativa Libertaria/Fdca gennaio 2015

sabato 10 gennaio 2015

Palestina-Israele, la lotta unitaria e gli attivisti dei comitati popolari continuano a dare il loro contributo alla imminente fine dell'occupazione del 1967*

Bil'in, Ni'lin, Ma'sara, Nebi Saleh, Sheikh Jarrah, Qaddum e Colline Sud di Hebron La vittoria sempre più vicina nella lotta per bloccare l'avanzata del progetto coloniale Zionista e persino per farlo ritirare un po' non iscrive i veri buoni nello scorrere della storia. La sconfitta che si avvicina spinge la classe dirigente israeliana a compiere passi disperati ed a commettere aperte atrocità. Aumentano gli sforzi per trasferire i Beduini che vivono nei confini del 1948 così come i residenti nei villaggi del territori occupati nel 1967. Il calante appoggio delle potenze imperialiste ad Israele a causa dei cambiamenti in atto nelle dinamiche geopolitiche nella regione, l'opinione pubblica mondiale ed i costi economici provocano un graduale mutamento nei rapporti di forza interni alla classe dirigente capitalista israeliana di cui ne vedremo gli effetti nelle prossime elezioni. Intanto prosegue la lotta unitaria a Bil'in, Ni'lin, Ma'sara, Nebi Saleh, Sheikh Jarrah, Qaddum e sulle Colline Sud di Hebron Hills e si sta gradualmente allargando ad altre località anche senza lo "scudo" degli attivisti israeliani. Bil'in Oggi a Bil'in manifestazione con 6 Israeliani, una dozzina circa di internazionali e dozzine di residenti. Grazie ai mutamenti dei venti molti di noi sono riusciti a resistere per circa un'ora agli sforzi dei soldati israeliani di disperderci. Quando il vento è girato a ovest la maggior parte di noi è ritornata al villaggio. https://www.facebook.com/photo.php? fbid=770471539673569 https://www.facebook.com/photo.php? fbid=687325614700107 https://www.facebook.com/mohamed.b.yaseen/posts/6873261...33386 https://www.facebook.com/rani.fatah/posts/10205508802782598 https://www.facebook.com/natali.babku/posts/10203392804...21869 Venerdì 26-12-14 manifestazione a Bil'in. 5 Israeliani e molti attivisti internazionali si sono uniti ai residenti in corteo verso le terre restituite e verso il nuovo muro della separazione. Le forze armate israeliane ci hanno fermato con raffiche di lacrimogeni impedendoci persino di avvicinarci alla strada della recinzione ormai smantellata. Grazie al vento da nord siamo riusciti ad aggirare gli autoblindo ed a sfidarli in più di un'ora di scontri. https://www.facebook.com/mohamed.b.yaseen/posts/6910036...32306 https://www.facebook.com/rani.fatah/posts/10205573189592228 https://www.facebook.com/photo.php? fbid=10205573169151717 https://www.facebook.com/photo.php? fbid=10205573176871910 Turmus Ayya Nella manifestazione settimanale a Turmus Aya vicino Ramalah, nonostante il terrore dell'occupazione israeliana, siamo riusciti a piantare degli ulivi ed a far sentire la nostra voce. https://www.facebook.com/raed.debiy/posts/732705846815742 Gli attivisti di Bil'in hanno partecipato alla manifestazione a Turmus Ayya (dove 2 settimane fa un ministro palestinese è stato assassinato). Due palestinesi, un israeliano ed un attivista internazionale sono stati arrestati dall'esercito nel corso della pacifica manifestazione del 19 dicembre 2014 a Turmus Ayya. Mohammad Al-Khatib (ed altri 3 attivisti). Abdallah Abu Rahma è stato ferito da una bomba assordante sparatagli addosso. Dozzine di attivisti ed altri cittadini palestinesi hanno sofferto per l'inalazione dei gas e per i colpi di proiettili d'acciaio ricoperti di gomma, durante gli scontri nella manifestazione a "Turmus'ayya" svoltasi dopo le preghiere di mezzogiorno...Gli attivisti israeliani e quelli internazionali fermati sono stati rilasciati poche ore dopo, mentre Mohammed e gli altri Palestinesi sono stati liberati il lunedì successivo. https://www.facebook.com/murad.samara.7/posts/819821954...41899 Activestills ha forografato: http://bit.ly/1AB2CF9 https://www.youtube.com/watch?v=ii6N9R5s89Y Nabi Saleh 19-12-14 La manifestazione settimanale del venerdì nel villaggio di Nabi Saleh è partita questa volta dal centro del villaggio per dirigersi, attivisti e residenti, in corteo verso la fonte d'acqua esproriata. L'esercito ha cercato di disperdere il corteo con i gas e con i proiettili d'acciaio ricoperti di gomma. I soldati sono entrati nel villaggio, inseguendo gli adolescenti palestinesi. Parecchi soldati sono entrati nelle case private, minacciando di arrestare i familiari dei ragazzini che lanciano le pietre. http://schwarczenberg.com/? p=2405 https://www.facebook.com/video.php? v=755224891231102 26-12-14 David Reeb http://youtu.be/dcS2DrMP038 Al Ma'sara Corteo musicale ad Al Ma'sara con risposta dei coloni a colpi di proiettili veri. La manifestazione pacifica è partita dal centro del villaggio di Al Ma'sara a sud di Betlemme. Questa volta in corteo c'era la band dei Musicisti Senza Confini che suonavano musica in un'iniziativa per far sentire il Natale in un posto che dista poco da dove nacque Gesù. I manifestanti cantavano e tenevano le bandiere palestinesi, ma quando il corteo ha raggiunto la Strada 60, un colono ha aperto il fuoco sparando per uccidere. Dieci i feriti a causa della brutalità dell'esercito israeliano, attivisti locali ed internazionali sono stati aggrediti mentre andavano verso le terre confiscate. Il PSCC (Comitato di Coordinamento delle Lotte popolari, ndt) ha inviato a resistere ed a lottare in onore del martire Ziad Abu Ain. Al Ma'sara è uno dei molti villaggi i cui Comitati Popolari si sono sviluppati sulla resistenza non-violenta alla costruzione del "muro dell'apartheid.” Questa volta il comitato popolare di Al Ma'sara ha chiesto che il colono che voleva uccidere dei manifestanti pacifici fosse punito. https://www.facebook.com/hasan.breijieh/posts/785209748...01403 https://www.facebook.com/PopularStruggle/posts/98569120...26640 Ni'lin venerdì 25.12.2014 israelpnm https://www.youtube.com/watch? v=-Y9RW1WhKmQ Qaddum manifestazione settimanale di venerdì 19.12.2014 https://www.facebook.com/media/set/? set=a.8528696647350...14816 venerdì 25.12.2014 ciao a tutti. Appena abbiamo raggiunto il villaggio - ben prima che la manifestazione iniziasse già un forte odore di gas ci circondava. Con le lacrime agli occhi ci siamo resi conto di quanto sia falsa la dichiarazione dell'esercito per cui sparano gas per disperdere disordini solo di "cortei senza autorizzazione" e su "manifestazioni illegali". In realtà sparano come e quando vogliono. Venerdì ha partecipato alla manifestazione "un funzionario anziano di Fatah di Qalqilya e Nablus" e il corteo era particolarmente festoso. Meno solenne e dignitoso è stato il comportamento dell'esercito occupante, che aspettava dentro il villaggio ben dietro la linea della strada vietata. La quantità di gas sparato ieri a Qadum era inusuale. Tanto gas. Il villaggio ne è stato inondato. Hanno usato granate assordanti, proiettili d'acciaio ricoperti di gomma e persino per la prima volta quelli veri (non il calibro 22). Parecchie persone hanno sofferto per l'inalazione dei lacrimogeni o per il calore sprigionato dai candelotti e sono stati soccorsi sul campo. Un giovane palestinese è stato ferito ad un gamba da un proiettile vero che gli è entrato da una parte ed è uscito dall'altro lato. Misure di controllo non letali di folla? Nemmeno secondo le loro dichiarazioni. Incontrerò il cecchino criminale a Salem? Non credo. Sembra che tutto sia possibile in questi giorni. Il fumo dei lacrimogeni alla fine si è dissolto e quello è stato il segnale per l'entrata in campo del cannone che spara acqua fetida il cui puzzo ti rimane addosso per giorni. A Qassum i residenti sanno come proteggere le loro case. Alcune donne anziane sono uscite e si sono messe al bordo del corteo non lontano dalla strada principale, una di loro pregava. Un gruppo di ragazze andava su e giù con dei cartelli. Sarà stata una manifestazione femminista? Non lo era, ma era bella da vedere lo stesso. Auguro ai feriti di ristabilirsi e grazie ad Abdullah Qadumi per questo video. https://www.youtube.com/watch? v=uhXghkoC6Sk&feature=you...tu.be https://www.facebook.com/PopularStruggle/posts/99037280...58480 ---------------------------------------------------------Non dite che non lo sapevamo 433 Mercoledì 10 dicembre 2014, la polizia di confine di Hebron ha sparato gas lacrimogeni vicino al Kiton Checkpoint (209), non lontano dalla scuola elementare palestinese di Ibrahimiya. Il gas è entrato nella scuola ed il preside ha mandato gli alunni a casa. Un bambino è andato in ospedale. Il giorno dopo la cosa si è ripetuta. A Hadiya tre candelotti di lacrimogeni sono finiti sull'ingresso di una scuola, ad Al Khalil 4 candelotti sono finiti nel cortile della scuola. Un bambino è rimasto traumatizzato psicologicamente da un candelotto ed è stato ricoverato. Entrambe le scuole sono state chiuse. Lunedì 8 dicembre 2014, agenti del governo israeliano scortati dalla polizia hanno demolito il villaggio beduino di Al Arakib nel Negev per l'ennesima volta. ---------------------------------------------------------------Non dite che non lo sapevamo n°434 Secondo le statistiche sulle demolizioni di case del Negev Coexistence Forum for Civil Equality’s, ci sono state 859 case di Beduini del Negev demolite tra luglio 2013 e giugno 2014! Il 78% è stato demolito dagli stessi proprietari sotto minaccia degli ispettori che se non avessero demolito le case da sè, lo avrebbe fatto lo Stato facendone pagare i costi a loro. Mercoledì, rappresentanti del governo scortati dalla polizia sono venuti a demolire le case dei Beduini in alcune località del Negev. A Tel Arad, a nord di Kseife, è stata distrutto un ampliamento della moschea. Ad A-Zarnug, a nord della superstrada Beer Sheva –Dimona, hanno demolito due strutture, un'altra ad Al-Ghara vicino alla base aerea di Nevatim, ed infine una a Laqiya. Per altre informazioni: amosg@shefayim.org.il ================================= * From my blog at: http://ilanisagainstwalls.blogspot.com (traduzione a cura di ALternativa Libertaria/fdca-Ufficio Relazioni Internazionali)

liberi di imparare

Sabato 17 gennaio 2015 ore 17,30 Ateneo degli Imperfett liberi di imparare Il racconto di due esperienze educative basate sulle pratiche di educazione libertaria incontro con Gabriella Prati psicologa, educatrice Scuola Saltafossi, Bologna Giulio Spazzi filosofo, educatore Scuola Kether, Verona Attraverso pratiche educative libertarie, in queste scuole bambine e bambini, ragazze e ragazzi, vengono accompagnati nella ricerca del proprio desiderio, nelle loro esplorazioni nei saperi, nel far emergere i talenti di ognuno, nell’incontro con l’altro, ... costruendo insieme, ogni giorno scuola. L’educazione libertaria non è un metodo, non è una pedagogia, non ha modelli e strategie esportabili. Ateneo degli Imperfetti Via Bottenigo, 209 30175 Marghera (VE) tel. 327.5341096 www.ateneoimperfetti.it

Charlie Hebdo , la tristezza e la collera

Charlie Hebdo, la tristezza e la collera Il massacro perpetrato stamattina nei locali di Charlie Hebdo, è un atto ignobile da condannare senza riserve. Siamo sotto choc e il nostro pensiero va in primo luogo ai parenti delle vittime. Se questo massacro si confermerà essere opera di clerico-fascisti, occorrerà per l'ennesima volta denunciare le illusioni mortifere dei fanatici che sognano di assoggettare la società alla religione. Noi continueremo a lottare contro tutti i fascismi che indossino le vesti della religione musulmana, di quella ebraica, di quella cristiana o quella che sia. Ma al tempo stesso siamo pronti a condannare sin da ora ogni atto di violenza islamofobica che dovesse essere commesso a titolo di "rappresaglia". La tristezza e la collera sono ancora più forti perchè sappiamo chi approfitterà di questo crimine. Questo esecrabile evento va ad appesantire il clima razzista che già avvelena la società francese, porta acqua al mulino dei reazionari siano essi dei politici o degli intellettuali, i quali già dissertano senza sosta sul presunto "scontro di civiltà" e vomitano quotidianamente il loro odio per i musulmani e per gli stranieri. Alternative Libertaire è da sempre impegnata nella lotta contro tutte le forze reazionarie. Ma questa lotta non può essere portata avanti in un contesto di "unità nazionale" fittizia, con dei responsabili politici i quali, a destra come a sinistra, hanno attizzato l'odio e sono in parte responsabili del caos attuale: perchè hanno armato e sostenuto lo sviluppo di forze militari islamiche per diversi interessi geostrategici a partire dagli anni '80; perchè hanno messo in atto o sostenuto interventi militari disastrosi in Africa ed in Medio Oriente per ragioni imperialistiche; perchè chiudono le frontiere agli uomini ed alle donne che cercano di scappare dall'inferno attraversando il Mediterraneo; perchè rafforzano la stigmatizzazione dei lavoratori immigrati e dei loro figli, in particolare se di supposta origine musulmana; perchè approfittando del legittimo sconcerto nella popolazione, inaspriranno le leggi liberticide con la scusa dell'antiterrorismo. Alternative Libertaire, 7 gennaio 2015 (traduzione a cura di Alternativa Libertaria/Fdca - Ufficio Relazioni Internazionali)

IX Congresso Nazionale della FdCA

IX Congresso Nazionale della FdCA
1-2 novembre 2014 - Cingia de' Botti (CR)